Ma quale libertà?

Quando oggi un italiano parla di libertà personale, più o meno consciamente rievoca la Magna Charta Libertatum di Giovanni “Senzaterra” dell’Inghilterra del 1215. Rievoca poi gli atti che consacrano l’Habeas Corpus nelle dinamiche sociali in cui ogni individualità umana sviluppa la propria esistenza, nonché la propria identità. Dalle esistenze libere dei cittadini si consolida quel nucleo essenziale e inalienabile di valori intranei alla persona, che possiamo denominare liberalcrazia individuale associabile. Dall’insieme di questi poteri liberi, individuali ed associabili, poi parte l’esigenza che esistano istituzioni preposte alla tutela di quelle libertà, coesistenti in società. Così potrebbero esser sorti quei meccanismi che hanno messo in moto ulteriori, progressive libertà, sempre bisognose di tutela, nella tensione tra l’estensione e una limitazione proporzionata alla coesistenza degli individui liberi, tutti.

Ogni tempo – a seconda delle esigenze e delle conformazioni civiche dei diversi ambienti – richiama le sue libertà, in aggiunta o in specificazione delle libertà tipiche della tradizione giuridica nonché politica del liberalismo. E così via, in un circuito di alti e bassi che si registrano lungo il corso della storia umana.

L’unicità e l’irripetibilità delle esperienze umane d’individualità associate, per gruppi più o meno conformizzanti, invero, non sono opinioni: l’unicità e l’irripetibilità sono realtà, predicati oggettivi di ogni persona in carne ed ossa da quando nasce a quando muore. Figli di un ulteriore e mai definitivo verismo irredento, ancora tutto da scoprire tempo dopo tempo e spazio per spazio, i cittadini si riscoprono uomini. Gli uomini si scoprono cittadini diversi da come lo erano ieri, per poi capire finalmente che oggi si è cittadini inevitabilmente in modo distinto e differente da come si sarà, “cives”, nei domini individuali e collettivi dei domani.

“Chi vivrà vedrà”, ci ripetevano, giustamente. E vedremo!

Sui social, frasette di bassa maniera che si spacciano per dissacratrici del politicamente corretto, non possono essere venerate nel loro nulla. Ed ecco che gli individui difendono le proprie libertà, chi le libertà di fare libertinismo verbale contro una idea etnico-continentale, e chi le libertà di azionare tutele giuridiche quando la propria individualità viene lesa. Le cerniere delle libertà si abbassano, lungo la zip della liceità giuridica, per distinguersi tra libertà liberali da un lato e libertà anarchiche dall’altro. Queste ultime non fanno bene alla società, quale insieme e sintesi personologica che valorizza senza assorbire le individualità distinte e vaganti.

Il razzismo tenta di annullare il prossimo, e diviene nulla gnoseologico esso stesso. Il nulla, per chi lo venera, non genera nichilismo (nemmeno quello), perché il nichilismo giuridico-relativistico almeno si basa su un metodo – tra i tanti – che sconfessa con asettica neutralità ogni venerazione. Chi utilizza il politicamente scorretto in modo emulativo, con il solo fine di acchiappare corsie preferenziali di volta in volta dominanti sui social, non ha un metodo se non la negazione del proprio io, piegandosi ad un anti-meritocratico sub-divenire dolentemente narcisistico.

Mi rivolgo a chi utilizza l’ormai chiesa vagante del politicamente scorretto, non per far uscire dall’apnea della vita associata le retoriche stanche che di volta in volta si posano sui manierismi progressisti (o presunti tali) di bandiera: non occorre arrivare a lambire carezzevolmente il razzismo per farsi notare, e continuare a mantenersi a galla, al di fuori di ogni professionalità ed umanità.

Ricordo quindi cosa intendeva Ugo Foscolo, nella sua “Lettera apologetica”, per libertà:

“La libertà a me par cosa più divina che umana; e l’ho veduta sì necessaria e sempre sì corruttibile fra’ mortali, che io non la darei da amministrare fuorchè alla Giustizia la quale la governasse con leggi preordinate, immutabili, e d’inesorabile fatalità; e concedesse i fulmini tutti in mano a’ re che ne godano come il Giove omerico, il quale operava per decreti prestabiliti, nè poteva mai rivocare il suo giuramento”.

Sì, ricordo Foscolo, uno che di patemi per la libertà ne ha passati.

Forse l’immutabilità a cui si riferiva Foscolo ci è distonica in questi nuovi tempi, prodotti e antiprodotti del nuovo, ulteriore divenire, tra neofite perfezioni già rotte al loro nascere e speranze disilluse a intermittenza. Tuttavia l’umana giustizia che opera con alla base un’adeguata certezza del diritto, con il carattere prestabilito e quindi conoscibile dei decreti (per riprendere la citazione foscoliana), potremmo ancora valorizzarla, nella cura garantistica della nostra libertà.

D’altronde, noi italiani in mezzo ai tantissimi e bellissimi popoli tutti di questo mondo, quando parliamo di libertà pensiamo prima di tutto a noi stessi, alla nostra storia, e non solo alla tradizione protoliberale inglese. Pensiamo alla nostra Resistenza per la Liberazione dal disonorante fascismo. Pensiamo alla nostra repubblicanità nata nel riconoscimento e nella garanzia dei diritti inviolabili dell’essere umano, sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, nel rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà politica e socioeconomica, a cui bisogna adempiere con il piacere dell’onore.

Noi italiani, più o meno consciamente, nel parlare di libertà personale stringiamo al petto – le donne al sempre sensual seno – l’articolo 13 della Costituzione repubblicana. La libertà personale, sì, è inviolabile. A preservarla oltre al nostro spirito civico quotidiano ci sono ben due riserve, una di legge ed una (sistemicamente successiva) di giurisdizione.

Inviolabili siamo noi, tutti, ciascuno. Inviolabile conseguentemente è il nostro bene più prezioso, direttamente fiorito con la vita stessa: la libertà.


FontePhoto by Eneko Uruñuela on Unsplash
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Luigi Trisolino, nato l’11 ottobre 1989 in Puglia, è giurista e giornalista, saggista e poeta, vive a Roma dove lavora a tempo indeterminato come specialista legale della Presidenza del Consiglio dei ministri, all’interno del Dipartimento per le riforme istituzionali. È avvocato, dottore di ricerca in “Discipline giuridiche storico-filosofiche, sovranazionali, internazionali e comparate”, più volte cultore di materie giuridiche e politologiche, è scrittore e ha pubblicato articoli, saggi, monografie, romanzistica, poesie. Ha lavorato presso l’ufficio Affari generali, organizzazione e metodo dell’Avvocatura Generale dello Stato, presso la direzione amministrativa del Comune di Firenze, presso università, licei, studi legali, testate giornalistiche e case editrici. Appassionato di politica, difende le libertà e i diritti fondamentali delle persone, nonché il rispetto dei doveri inderogabili, con un attivismo indipendente e diplomatico, ponendo sempre al centro di ogni battaglia o dossier la cura per gli aspetti socioculturali e produttivi dell’esistere.

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