La politica come “arte del riconoscere i tiranni” e la libertà inculcata dalla geometria

In questi due primi decenni del  nostro secolo, il pensiero complesso tra gli altri non trascurabili benefici ha generato l’atmosfera  ed il plafond culturali per rileggere con altre prospettive, provenienti ad esempio dal campo letterario e non solo, saperi e pratiche che per lungo tempo sono rimasti, pur importanti, chiusi nel loro recinto data anche la loro estrema e sempre più crescente specializzazione; tale nuovo approccio più globale, tra le altre cose, sta evidenziando  la dimensione umanistica delle scienze e delle matematiche in particolar modo o meglio, come ci ha insegnato Simone Weil, la loro intrinseca dimensione spirituale con le diverse posture teoretiche, etiche, politiche  e artistiche. Ma se prima tale sguardo era solo legato a determinate figure che comunque hanno lasciato il segno come Italo Calvino e Primo Levi, in questi ultimi tempi  si sta avvertendo da varie parti il bisogno di confrontarsi  con l’esprit o  anima delle matematiche per trovarvi qualcosa di più profondo al di là degli importanti aspetti analitici e formali i cui principi, come già avevano capito i Greci, dovevano essere liberamente e criticamente discussi prima di entrare nel campo del pensiero umano come componenti stabili e imprescindibili;  con tale obiettivo umano oltre che teoretico,  a volte non abbastanza sottolineato, che una storiografia filosofica improntata al pensiero complesso invece tiene in debita considerazione, non a caso il mondo greco ha partorito il pensiero filosofico col preciso compito, attraverso la teoria della conoscenza (in termini odierni epistemologia) e la logica, di estenderlo ad altri settori dell’attività dell’uomo,  come l’arte e la politica, quest’ultima intesa come governo della polis o ‘cosa pubblica’ con regole condivise dove un ruolo primario gioca l’argomentazione, ben chiarita nell’aristotelica ‘teoria dell’argomentazione politica’,  ancora oggi necessaria anche se a volte mal tollerata e ridotta a puro scontro verbale.

Tutto questo può aiutarci a spiegare meglio prima il clamoroso successo del romanzo di Paolo Giordano La solitudine dei numeri primi; nello stesso tempo è da tenere presente la figura di Giuseppe Longo, ingegnere   e docente di Teoria dell’informazione, autore di diversi romanzi e raccolte di novelle alcuni dei quali tradotti in diverse lingue, come Di alcune orme sopra le acque(1990), I giorni del vento(1997), Il cervello nudo  (2004) ed altri ancora che gli hanno permesso di essere finalista in alcuni premi letterari. In questi ultimi anni sta emergendo un’altra scrittrice, anch’essa di formazione scientifica, come  Chiara Valerio che  si sta cimentando con figure del pensiero matematico  prima in Storia umana della matematicae ultimamente con La matematica è politica(Torino, Einaudi 2020). Ma ciò che distingue questo approccio, chiaramente letterario, per prima cosa è il fatto che si ritiene innanzitutto, come viene sottolineato a più riprese da questa scrittrice, che per entrare nel mondo di Euclide, ad esempio, ci vuole molta immaginazione come fu la sua quando parlava di retta senza spessore o di circonferenze perfette, enti ideali che non esistono, più di quella messa in campo da poeti greci nel narrare la storia degli dei e degli eroi. Ma dove la logica immaginativa raggiunge una ulteriore vetta è nei lavori di altre figure come Bolyai e Bernhard Riemann che vengono prese in considerazione e definite, insieme a Galois e Abel, non a caso da Henri Poincaré  nei primi anni del Novecento ‘matematici con le ali’, per averci introdotto in un mondo completamente ignoto, aperto dalle cosiddette geometrie non-euclidee,  con l’idea dello spazio a n dimensioni e altri nuovi concetti.

Va ricordato che tali geometrie in certi ambienti scientifici, non solo italiani, furono considerate per diverso tempo insensate e ‘geometrie da manicomio’ perché introdussero principi completamente diversi difficili da accettare che, pur partendo dai risultati euclidei, ne mettevano in evidenza limiti e contraddizioni, del resto già intravisti dal gesuita Girolamo Saccheri  (1667-1733) nel primo Settecento che non si avvide, per la sua fede incrollabile nei principi della geometria euclidea, che stava per entrare in un mondo non euclideo. Sarà poi Einstein a ritenerle  strategiche, insieme ad altre idee come quella di tensore, nella sua teoria della relatività generale per approcciarsi alle logiche del reale relativistico, pur confidando prima di morire di non essere in grado di spiegare razionalmente il fatto che il mondo sia comprensibile con tale tipo di teorie matematiche; e chi le sosteneva per primo, come ad esempio il napoletano ma di origini pugliesi come Giuseppe Battaglini (1824-1894), fu costretto a lasciare l’insegnamento  per poi riaverlo direttamente da Garibaldi perché ne capì l’afflato di libertà implicita o, a dirla con Chiara Valerio,   capì che la ‘matematica è politica’ diventando così un vero e proprio matematico militante in difesa dei nuovi valori, tale da permettergli di rifiutare di firmare l’invito del Re di Napoli a sospendere quel po’ di principi democratici precedentemente assegnati  dallo stesso monarca.

Un altro non secondario elemento che Chiara Valerio ricava  dal suo confrontarsi con il variegato mondo del pensiero matematico, non riconducibile pertanto a visioni normative e prestabilite, è quello che chiama ‘postura etica’ sino a parlare di ‘mia forma etica che è la conoscenza’ da esso ricavata, dove il  ‘capire significa capire  le conseguenze’ nelle loro diverse articolazioni; e questo grazie al fatto che il sapere matematico fonda le sue ‘coerenze’  sulle ‘relazioni , così come la grammatica è ‘ritenuta la scienza delle relazioni tra le parole’. Ma dove la matematica mostra il suo lato più politico, idea del resto presente nel mondo filosofico-scientifico dove il pensare more geometrico  portò non a caso Baruch Spinoza e non solo ad essere perseguitato per tale inscindibile nesso, è quando si afferma che ‘lo studiare matematica educhi alla democrazia più di qualsiasi altra disciplina, sia scientifica che umanistica’, in quanto essa democrazia si basa ‘sulla certezza che autorità e regole siano due cose diverse: l’autorità è imposta, le regole sono condivise, discusse e possono evolvere’.

Queste importanti considerazioni sono sempre da tenere in mente e da ribadirle in ogni occasione anche perché sotto diverse forme  in questi ultimi tempi e da più parti si fa delle imperfezioni strutturali della democrazia un elemento per screditarla ed indebolirla coll’invocare forme autoritarie anche nella sua stessa gestione; ma è bene anche conoscere altre figure sia del mondo greco che del Novecento che ci hanno dato delle testimonianze  del rapporto stretto tra libertà e matematica, come ci ricorda il matematico, storico ed epistemologo italiano di origine ebraica Federigo Enriques (1871-1946) a proposito di Zenone in un’opera del 1936 dedicata alla scienza greca. Durante la tortura e prima di mandarlo a morte, il tiranno di Siracusa gli chiese a cosa gli è servita una vita dedicata alla matematica e a ‘cosa serve la filosofia’; come ci riporta Tertulliano, Zenone rispose  ‘a disprezzare i tiranni’ tale da far dire a Diogene Laerzio che ‘fu spirito nobile in filosofia e politica, e aveva ordito una cospirazione per liberare la sua città dalla tirannide’. Lo stesso Enriques in pieno fascismo, per chiarire il rapporto tra geometria e politica, riprende la risposta  di Zenone cambiandola significativamente in ‘riconoscere i tiranni’, cosa non sempre facile, per poterli combattere con le armi che si hanno a disposizione a partire da quelle della ragione scientifica.

Poi è il caso di ricordare, sulla scia delle battaglie condotte dagli Illuministi e soprattutto da D’Alembert nel loro progetto che portò all’Éncyclopédie nel fare della cultura e delle scienze uno strumento di avanzamento sociale e democratico, una frase poco nota di George S. Ohm scritta nel suo manuale di geometria del 1817: ‘la geometria e solo la geometria è in grado di inculcare negli uomini lo spirito di indipendenza, essa sola può proteggerli dai pregiudizi di un dispotismo culturale’. Tale atteggiamento, derivato dal praticare lo spirito libero delle matematiche dove, come in ogni ramo scientifico e artistico, si esprime la massima immaginazione e creatività umane,  è alla base dei lavori e delle conseguenti scelte politico-esistenziali, ad esempio, di uno dei massimi matematici del  Novecento Alexandre Grothendieck (1928-2014);  premio Fields nel 1966, di origine russo-ebraica e poi naturalizzato francese, è stato definito da più parti ‘l’Einstein della matematica’ ed oggi al centro di vari studi soprattutto nell’ambito della creatività nelle matematiche e per un diverso modo di concepirle e metterle in pratica. Prima esponente di spicco sino ai primi anni ‘60 di quel gruppo di matematici formatosi in Francia negli anni ’30 sotto il nome di Nicolas Bourbaki, poi ne fuoriesce e lascia gli stessi ambienti  scientifici quando si accorge che anche le ricerche matematiche vengono finanziate in parte da enti pubblici e privati per motivi militari e commerciali, cosa in questi ultimi tempi molto più evidente.

Quindi fare matematica ed in particolar modo un suo ramo, come la geometria, da Zenone ad Enriques e Grothendieck  è stata una continua palestra di libertà, ha ‘educato’ in profondità allo spirito democratico e coerentemente con gli impliciti valori specifici  è ‘politica’ nel senso che la sua prassi nel fare regole e disfarle è un continuo lievito di idee  e aiuta a ‘riconoscere’ il pensiero normativo con i suoi addentellati semplicistici e  furori politici  là dove essi si annidano per arginarli il più possibile; ed il pensiero complesso con i suoi strumenti ermeneutici messi in atto, anche politici, si rivela ancora una volta indispensabile nel far vedere sotto un’altra luce delle configurazioni concettuali e delle idee che, nate in un certo contesto con tutto il loro corredo di contenuti veritativi  come quello matematico, acquistano un ulteriore senso e soprattutto si presentano come lievito per altre posture di natura etica, politica e più in generale antropologica.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.