È parte della Brigata Matteotti, formazione partigiana vicina al Partito Socialista, ad ideare lo strepitoso piano. I sette antifascisti escono la sera del 24 gennaio 1944 poco dopo le 19:00.

Se i luoghi potessero parlare, sarebbero testimoni perfetti delle vicende avvenute sotto i loro occhi. Pensiamo alla piana di Campaldino, nel casentino, dove nel 1289 si affrontarono guelfi e ghibellini in una delle battaglie più importanti del medioevo italiano. O Teano, presso Caserta, sul ponte San Nicola, terra che il 26 ottobre 1860 udì il celebre saluto “Ecco il Re d’Italia”, rivolto dal generale Garibaldi al Re Vittorio Emanuele II.

Se potesse parlare, avrebbe moltissimo da raccontarci anche il carcere romano di Regina Coeli, in particolare i tristemente famosi terzo e sesto braccio. Un pezzo della nostra storia passa da quelle stanze umide e inospitali. In quella parte del carcere romano, dalla caduta di Mussolini (luglio 1943), vengono detenuti i vecchi fedeli del Duce, gerarchi e dirigenti. Dopo l’armistizio dell’8 settembre invece, e la conseguente occupazione nazista di Roma, il carcere è governato dalle SS tedesche che si impegnano a torturare gli oppositori nel terzo braccio. Finiscono in quelle celle, in attesa della fucilazione, tutti coloro che, mossi dall’ideale della Libertà, combattono il nazifascismo.

Giornalisti, politici, ebrei, scrittori, gente comune. Si ritroverà in quel carcere, nel sesto braccio, arrestato il 20 novembre del 1943, Carlo Ginzburg, scrittore, esponente del Partito d’azione. Non uscirà vivo di li. Morirà in seguito alle torture riportate dopo un pestaggio ad opera dei fascisti. Nel cortile del carcere però, Leone Ginzburg, ha modo di conoscere molti partigiani che, come lui, se pur privati della libertà, provano a tenere viva la fiamma della Resistenza.

Tra gli antifascisti chiusi nel sesto braccio ci sono Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, entrambi partigiani, socialisti, odiati dai fascisti e trasferiti in quell’ala del carcere in attesa della fucilazione.

Sandro Pertini dopo il confino a Ventotene e la lotta antitedesca per le vie di Roma è nuovamente arrestato nel luglio 1943 insieme a Giuseppe Saragat. I due futuri presidenti della Repubblica Italiana, Paese in quel momento dilaniato dalla guerra civile, vengono rinchiusi nel sesto braccio. Dopo la condanna a morte sono trasferiti nel terzo braccio. Di giorno in giorno, i due futuri inquilini del Quirinale, attendono la fucilazione in una buia e piccolissima stanza, privati dell’unico ideale che davvero conta per loro: la Libertà.

Tuttavia a un certo punto qualcosa accade. Saranno gli stessi Saragat e Pertini, anni dopo, a ricordare il gesto coraggioso e valoroso di alcuni partigiani che, rischiando la loro stessa vita, aiutano i due uomini ad evadere ed avere salva l’esistenza.

È parte della Brigata Matteotti, formazione partigiana vicina al Partito Socialista, ad ideare lo strepitoso piano. Del gruppo romano della brigata fanno parte anche  Giuliano Vassalli, Peppino Gracceva e Massimo Severo Giannini che, avendo lavorato al Tribunale di Roma fino all’8 settembre 1943 dispongono ancora di carta intestata. I tre falsificano l’atto di scarcerazione grazie a fogli e timbri del Tribunale conservati prima di lasciare il proprio lavoro.

Oltre a Pertini e Saragat quel documento falsificato farà uscire dal carcere altri 5 antifascisti socialisti. Oltre all’atto di scarcerazione falso presentato ai tedeschi, aiuta anche una telefonata al carcere da parte del giovane avvocato Filippo Lupis che, fingendosi funzionario della questura sollecita i tedeschi di scarcerare i detenuti nel minor tempo possibile.

Ancora, un ruolo importantissimo in questa vicenda, spetta alla Signora Marcella Monaco, moglie del medico di Regina Coeli Alfredo. I due abitano in un appartamento all’interno del carcere. Sono socialisti e lavorano per la Resistenza nelle Brigate Matteotti. È la signora Monaco a telefonare per prima al carcere e passare Lupis, presentandosi come segretaria del questore. I sette antifascisti escono la sera del 24 gennaio 1944 poco dopo le 19:00.

Dopo l’uscita dal carcere Saragat e Pertini sono alloggiati nella casa di Marcella Monaco. I due fuggitivi quindi dormono all’interno del carcere stesso. Ai tedeschi non sarebbe mai venuto in mente di cercarli li. L’indomani mattina i due antifascisti partono per unirsi agli altri partigiani e combattere in nome della Resistenza. Senza quella incredibile fuga, sarebbero stati probabilmente fucilati.

Di quel gruppo di valorosi  partigiani che salva la vita a due futuri presidenti della Repubblica, solo la signora Monaco rischia l’arresto una volta che i tedeschi scoprono tutto. Lei stessa dopo riusce a fuggire e mettere in salvo i suoi figli. Tornata a Roma dopo la liberazione, nell’aprile del 1944, riceve una medaglia d’argento al valore militare.

Giuliano Vassalli, altro protagonista dell’evasione, diverrà nel 1999 Presidente della Corte Costituzionale mentre Massimo Severo Giannini ministro della Repubblica nel 1979. Per quanto riguarda i due fuggitivi, sappiamo bene cosa riserverà loro il destino dopo aver atteso come un incubo la fucilazione. Nel 1978 torneranno nella cella testimone di paura e di speranza,  trentaquattro anni dopo sono Padri della Patria.

Giuseppe Saragat sarà eletto al ventunesimo scrutinio, il 28 dicembre 1964 a Presidente della Repubblica, il primo socialista a salire al Colle. Sandro Pertini, colui che metteva soggezione alle guardie del carcere, il 9 luglio 1978, dopo 16 scrutini è acclamato alla massima carica dello Stato. Diverrà il Presidente più amato dagli italiani  e sarà ricordato come “il Presidente Partigiano”.