Caro direttore,
Tacciono oggi le armi di Haftar per l’emergenza Covid in Libia.
E faremmo anche bene a tacere un po’ tutti riappropriandoci di una virtù che appare ormai anacronistica: il Silenzio.
Non solo per rispetto ai i morti, al dolore di tanti, ma per noi stessi.
Come aver acceso una Ferrari, portarla a 300 all’ora per poi schiantarci al primo chiodino nella gomma.
Il ruggito del suo motore è figlio di un “chiasso” esistenziale che ci allontana da noi, da me e da te.
Benedetto chiodo!
Proprio ora che il web ci facilitava le cose perché velocizzava tutto: ci evitava finanche lo “spreco” del muoverci per guardarci in faccia, ora che godevamo appieno ad aprire la
manetta del gas per l’urlo di quel rumore “tecnologico” e muscolare, ora che tutti ciarlano di tutti e di tutto nella bailamme delle news saziando rotocalchi finalmente appagati, legittimando rapporti non-rapporti, ecco il chiodo che ci uccide ad una certa curva…
Esso infrange il delirio di onnipotenza, così come solo un misero ed insignificante pezzo di ferro aguzzo sa fare, come a giocare!
E i morti tacciono, come le cronache colpevolmente soffocate sui fatti di Idlib, sulla
sistematica distruzione della Siria ad esempio, come tace la vita di “altri” che, profughi,
scappano da virus più orribili del Covid, pericolosi nonostante oggi vi potremmo opporre le medicine giuste o, quantomeno, da cui dovremmo già esserne vaccinati: l’ignoranza, la noncuranza, il silenzio, questo sì dolosamente manovrato per uccidere negli altri la Speranza, indispensabile alla Vita, insieme a una sostenibile visione di una fraternità possibile. Oltre che necessaria.
È il silenzio il grande assente “dentro” di noi, e questo è solo uno dei tanti chiodi che
abbiamo preso che ci mette in riga, che almeno tenta di farlo, prima che altri incidenti più gravi ci affliggano mentre premeditiamo, già e ancora, un’altra grande fuga da noi stessi.
Leggiamo di Madre Teresa il suo elogio al Silenzio: «Frutto del silenzio è…»
Ma non il silenzio “innaturale” di Diodato, ”tra me e te”, quello di una incomunicabilità
irreversibile, o quello che “non lo posso sopportare”; ma quello di uno “Stabat” che ci fa muti quando l’anima è oppressa di fronte alle tragedie, ma anche ci suggerisce aliti di Bellezza su un cielo di Misericordia colmo di stelle, su quanto siamo meno di un granellino di sabbia: proviamo per una volta almeno il Silenzio dell’ “Infinito” leopardiano, misuriamoci finalmente con noi stessi col coraggio che solo l’assenza di “rumori” permette.
Il chiasso delle polemiche gridate a squarciare le nostre pance, la volgarità di sguardi
maliziosi, le accecanti formule delle “rumorose” spinte a consumi immotivati, tutto ciò pone il bavaglio alle nostre intelligenze tra le luci artificiose di godimenti fine a sé stessi:
la guida esasperata delle nostre Ferrari ci obbliga alla massima performance possibile
nel “necessario” sacrificio di tante (ahimè!) Bianchine fantozziane (sia le une che le altre
hanno fatto grande l’Italia).
Bene, realizziamo che tutto ciò non potrebbe mai accadere con la complicità di coscienze “costrette” a misurarsi col Silenzio, soprattutto se obbligate da certe fermate come quella che oggi la Storia ci pone di fronte.
Come le guerre d’altro canto…
In questi giorni in cui le parole più che mai assomigliano a semplice caos, forse sarebbe meglio “riempirsi” di Silenzio, anche fosse solo di Preghiera.
Per pregare non occorre essere necessariamente credenti in qualche Dio: serve la contezza del nostro stato, riuscire a guardarci allo specchio sordi alle nostre sovrastrutture mentali e senza i paracadute di giustifiche varie!
Ma prima di tutto serve silenzio sulle bocche dell’anima ancor prima che sulle bocche dello stomaco; sui social anche: altro che delinquere nella mente di tutti col veleno delle fake, su chat oziose e perditempo, sull’alimentare fraudolento di rumore, di tante inutili e perciò dannose parole!
Facciamolo subito, tacendo come oggi tacciono le armi di Haftar, ora che la chirurgia di
potature dolorose ma necessarie ci fa simili tra simili, ottenendoci come non mai (!) il
miracolo degli incontri, delle telefonate che “non abbiamo mai il tempo di fare”, del
chiederci finalmente “come stiamo…”
Non perdiamo l’occasione di “stare insieme” come ognuno sta, con i suoi dolori, con le
sue paure, con le sue cose in semplice e rispettoso Silenzio.
E questo finalmente ci darà la Pace.
Anche la forza, quando occorre, delle parole e delle azioni opportune.
Gabriele Perrucci