Una autentica figura di ‘scienziato-filosofo’
Ad ogni livello di insegnamento e anche nelle scelte della vita quotidiana si rende sempre più necessario, dato il crescente aumento delle conoscenze a nostra disposizione, “quello spirito di relazione che tutto coordina in una sintesi, e fa brillare sugli umili particolari la grande luce dell’idea generale!”; queste parole non sono state pronunciate ultimamente da qualche pedagogista o da un cultore del pensiero complesso come frutto della pur faticosa metabolizzazione dello stesso ‘spirito filosofico della scienza’ odierna, ma nel 1900 da Federigo Enriques (1971-1946), figura di matematico-epistemologo e considerato soprattutto fuori dell’Italia degno di far parte del Pantheon della cultura internazionale, in uno scritto dedicato alla formazione degli insegnanti ed imperniato sul nesso fra scuola secondaria e gli studi universitari. In occasione del centocinquantesimo anno della nascita sono stati organizzati alcuni eventi per ricordarlo non solo per aver dato dei contributi fondamentali alla geometria algebrica, ma anche per aver accompagnato la sua attività di scienziato militante, cosa ancora quasi unica nel panorama culturale italiano e riconosciuta in tal senso solo nei paesi d’oltralpe sin dai primi anni del secolo scorso, da una cospicua produzione di opere storico-epistemologiche tradotte in varie lingue a partire da i Problemi della scienza del 1906. Quest’opera, insieme a poche altre scritte da ‘scienziati-filosofi’ europei del tempo come Ernst Mach, Pierre Duhem e Henri Poincaré, ha dato inizio alla filosofia della scienza, uno dei capitoli più originali e ricchi del pensiero filosofico dell’intero Novecento che venne a svilupparsi negli anni ’30 nei paesi anglosassoni e francofoni; in Italia, per delle cause che trovano le loro radici nel ‘Caso Galileo’, era inconcepibile, come lo è ancora oggi in parte, che uno scienziato al lavoro potesse essere un ‘filosofo’ e produrre contestualmente opere di portata filosofica, anche se alcuni dei positivisti italiani erano impegnati su tale fronte tali da essere derisi e ritenuti dei ‘dilettanti’.
La stessa accusa non a caso fu fatta ad Enriques, considerato grande matematico ma un dilettante in ambito filosofico e inserito grossolanamente tra i positivisti, in quanto digiuno e naïf in questioni filosofiche, da un giovane Giovanni Gentile su mandato di Benedetto Croce; questi, com’è noto, nei primi anni del secolo stava portando avanti un progetto filosofico incentrato sulla separazione fra scienza e filosofia sino a scatenare quella che è stata chiamata ‘la reazione idealistica contro la scienza’ per bloccare le diverse iniziative intraprese dal matematico livornese di origine ebraica: la fondazione della stessa Società Filosofica Italiana nel 1907 e della rivista Scientia, l’impegno nelle riforme dell’istruzione secondaria e universitaria con una strategia teorica basata su un progetto alternativo al di là della filosofia positivistica, tutte cose che stavano avvenendo nel resto dell’Europa dove si dibatteva sulla struttura concettuale dei cambiamenti avvenuti nelle diverse scienze cosiddette dure, a partire dalle geometrie non euclidee alla logica matematica, dalle nuove meccaniche alle stesse discipline biologiche.
Se in Italia il progetto di ‘filosofia scientifica’ propugnato da Enriques fu aspramente combattuto anche perché fu quasi solo in tale battaglia culturale e non coadiuvato da altri colleghi lontani dall’impegnarsi sul terreno teoretico, negli altri paesi europei si venne a formare una solida piattaforma, dove scienza e filosofia erano strettamente coniugate col dare vita così a diverse tradizioni di ricerca che hanno continuato per l’intero ‘900 sino a far diventare il sapere storico-epistemologico uno strumento sine qua non in ogni campo dello scibile a nostra disposizione; non a caso Ludovico Geymonat, che nell’immediato secondo dopoguerra importò in Italia la filosofia della scienza sino ad essere il primo ad averne una cattedra a Milano, è arrivato a dire, sia pure con un certo ritardo, che “Enriques, il vinto di allora, è il vincitore di oggi” per avere aperto la strada ad un percorso incentrato sulla stretta connessione fra storia del pensiero filosofico e storia del pensiero scientifico, per l’importanza accordata allo stretto rapporto tra epistemologia e storia della scienza, tutti elementi che si sono concretizzati nelle cosiddette epistemologie storiche degli anni ’60-’70 e che fanno parte integrante del nostro vocabolario concettuale.
Ma se un pensiero prima o dopo risorge come nel caso di Enriques nella seconda metà del secolo scorso, dopo che circostanze contingenti ne hanno impedito l’affermarsi nelle temperie del suo tempo, è perché non solo conteneva quelle che Paul Valery chiamava ‘rispettive eresie’ nel dichiarare la sua gioia quando a Parigi negli anni ’30 si incontrava con il matematico-epistemologo italiano, ma perché si basava su una strategia teorica in grado di superare le barriere tra discipline e tesa al superamento della frattura tra le due culture, quella umanistica e quella scientifica, oggi più che mai richiesta da più parti come vera e propria esigenza esistenziale, e ritenuta necessaria per la formazione dell’uomo planetario, a dirla con Edgar Morin e Mauro Ceruti. Tutto il suo engagement, da quello scientifico ed epistemologico a quello didattico, è stato imperniato su un modello di razionalità allargata, per usare un termine oggi da più parti invocato e praticato, in grado di far dialogare non solo i vari saperi tra di loro, ma anche le diverse esperienze umane da quella artistica a quella religiosa senza cadere nella trappola di quello che veniva chiamato ‘particolarismo metodologico’ o, in termini più vicini a noi, riduzionismo metodologico; come avvenne con Galileo che aprì grazie alla sua ‘filosofica militia’ le porte alla scienza moderna e al conseguenziale modo di porre su nuove basi il rapporto tra scienza e fede, la chiave di volta ermeneutica o ‘eresia’ nel senso di Valéry, che permise al matematico Enriques di arrivare ad elaborare tale punto di vista, fu il concomitante e collaterale impegno di carattere epistemologico sui nuovi valori veritativi impliciti nelle scienze tra Ottocento e Novecento, non facili allora da cogliere nella loro reale portata ed ancora oggi oggetto di accesi dibattiti. Questo lo portò a immettere nel circuito delle idee scientifiche, e non solo, il loro aspetto intrinsecamente storicoa partire dalle matematiche, per natura ‘impermeabili’ ad approcci del genere data la loro ‘graniticità’, come dirà qualche anno più tardi sulla sua scia il grande fisico- matematico Hermann Weyl, figura anch’essa poco nota pur essendo alla pari di un Einstein ed ultimamente al centro di nuova attenzione.
Così il ‘dilettante filosofo’ o il ‘matematico Enriques’, così come veniva etichettato in Italia ai suoi tempi anche se poi Giovanni Gentile lo chiamò a dirigere la sezione ‘Matematica’ dell’Enciclopedia Treccani senza però affidargli le Voci filosofiche mentre all’estero veniva preso in considerazione anche per questo in quanto aveva dato l’avvio ad una non secondaria tradizione di ricerca in campo epistemologico, ci ha fornito i primi strumenti concettuali di un pensiero aperto, di un pensiero filosofico-scientifico su basi storiche; questo ‘ingenio minuto’, come in genere venivano chiamati gli scienziati all’epoca sulla scia di Giambattista Vico per denunciarne la scarsa attitudine teoretica, è stato, invece, uno dei primi assertori di una ‘ragione storica’, critica e soprattutto dialogante dove ogni esperienza umana non solo viene rispettata ma si arricchisce dei contenuti di un’altra e si rafforza a volte anche trasformandosi nel proprio ambito proprio in virtù di quelli che chiamava ‘effetti complicatori’ derivanti dal confronto con i diversi contenuti veritativi in gioco. Esemplari sono a questo proposito i suoi studi sulla scienza greca dove vengono ritenute presenti quelle che chiamava diverse ‘anime’ in gioco, l’anima scientifica, l’anima religiosa e quell’artistica col concomitante sviluppo dell’anima razionale-filosofica e delle prime idee democratiche.
In tal modo, la ragione, arricchitasi sul piano dei diversi contenuti cercandone di capirne i ‘significati’ per l’uomo, non arriva a fossilizzarsi in un singolo settore e si dimostra più in grado di combattere i diversi ‘ismi’ provenienti dalle visioni ristrette dei saperi con le connesse loro forme di assolutizzazione, poi diventati punti di riferimento di visioni totalitarie in campo politico col mettere in atto processi di semplificazione ad ogni livello. Quello che chiama ‘nuovo spirito filosofico nelle scienze’ lo trasporta negli altri ambiti come in Scienza e Razionalismo, opera del 1912, proprio per cogliere in una visione di insieme e non più separata il pensiero, lo ‘spirito di relazione’ tra i fenomeni e le interazioni tra il fisico ed il biologico, tra il sociale e lo psichico, tra arte e scienza, tra dimensione religiosa e altre vocazioni; spetta poi alla riflessione filosofica il compito di chiarirne il fondamentale fatto che sono tutti percorsi verso il vero e con sue parole ‘sempre verso il più vero’, percorsi costellati dal ‘travaglio dei concetti’ con continui ‘errori’ senza i quali si perde di vista la specificità dell’essere umano. In tal modo, le singole voci o ‘umili particolari’ acquistano un diverso ‘significato’ per il fatto che sono frutto di diversi incroci di esperienze e di conoscenze man mano irrobustitesi sul piano teorico sino a permettere l’emergere di altre configurazioni e orizzonti inediti.
E al lavoro filosofico tocca anche il difficile compito di tradurre in ‘sintesi’ queste polifoniche voci una volta accertata la implicita veridicità che è intrinsecamente di natura storica, idea non facilmente metabolizzata che ci ha messo del tempo per essere colta nel suo giusto spessore; a tal fine Enriques fondò una rivista di impianto filosofico-scientifico, pubblicata sino agli anni ’80, come Scientia, che aveva come sottotitolo ‘rivista di sintesi’ sulla scia di altre simili iniziative a livello europeo, proprio per abituare la coscienza critica dell’uomo del ‘900 a fare i conti con quella che chiamerà in un’opera degli anni ’30, scritta direttamente in francese, complexité infinie e tradotta personalmente nella successiva versione italiana con ‘complicazione infinita’ tra i fenomeni naturali e non, come condizione di base del reale. Questa ulteriore ‘eresia’, anche se solo esposta in maniera germinale e sempre conseguenza della presa d’atto del valore storico della scienza e delle matematiche in particolar modo, è un’altra non secondaria eredità che il ‘matematico Enriques’ ci ha lasciato nel suo ‘percorso a volo d’’uccello’, come lo ha chiamato un altro studioso non italiano negli anni ’40 come Ferdinand Gonseth per la sua capacità di vedere oltre gli orizzonti epistemici esistenti. C’è solo da rammaricarsi per noi italiani che tale figura ci è quasi completamente ignota e dobbiamo agli stranieri, nonostante alcuni recenti lavori sul suo pensiero in Italia, se il suo nome stia circolando come è abbondantemente avvenuto in Europa nei primi decenni del secolo scorso, tale da essere considerato non caso una autentica figura di ‘scienziato-filosofo’ alla pari di un Einstein e diventato una delle fonti di programmi di ricerca come quello di Jean Piaget.