“Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto; è quanto mi hanno dato al posto di un fucile”
(Philip Roth)
Dovrebbero, per onestà, fornire un porto d’armi a coloro che hanno padronanza del linguaggio.
Quante persone aveva conosciuto, ancora lei, Calipso, che le avevano scatenato l’istinto di starle ad ascoltare per ore? E quante di loro, si chiedeva, sapevano di possedere una vera e propria potenziale arma letale?
Quante sapevano che le parole dette ed ancor più quelle mancate erano, di fatto, un intero plotone di esecuzione?
«Ma come fai a conoscere a memoria i testi di qualsiasi canzone ascolti», le chiedevano.
«No, come fai tu a prescindere da quelli, mi chiedo io?», rispondeva.
Lei che aveva da sempre avuto la necessità di andare a tradurre, lettera per lettera, anche i testi dei pezzi musicali scritti in quello sconosciuto tedesco…
Das Leben brennt mir von der Seele Die Sehnsucht erfüllt nur tapfer ihre Pflicht. Halt mich, mein Leben, halt mich!
La vita mi brucia dall’anima, il desiderio fa coraggiosamente il suo dovere. Stringimi, vita mia, stringimi forte.
Non era mai riuscita a non eseguire il pedissequo lavoro di setaccio per ogni sillaba.
Ed ecco che aveva affinato la tecnica dell’ascolto, ancor prima dell’uso del linguaggio. Perché lei lo sapeva che era assolutamente necessario avere timore della dialettica che in milioni di occasioni le aveva salvato la vita, ma certamente qualcuna l’aveva fatta fuori.
Aveva imparato, così, che ci sono quelle persone le quali a braccio possono recitare anche l’elenco telefonico senza mai inciampare e senza mai dar l’impressione di propinare un’inutile successione di nomi;
quelle che riescono a parlare sotto un ombrellone in piscina, insegnando una quantità di termini sconosciuti e perfettamente incastonati fra loro, come diamanti nell’oro rosso;
quelle che lentamente regalano discorsi capaci di far scorrere il sangue più velocemente nelle vene e arrivare dentro le viscere con la perfezione del ghiaccio nel whiskey;
quelle che usano le parole come i tasti di un pianoforte lasciando ascoltare sinfonie fino ad allora mai nemmeno pensate: loro parlano e quello che creano è un intero concerto;
quelle che con tre parole, tre, smontano un’intera e secolare struttura fatta di niente;
quelle che sciorinano frasi e citazioni passando da un sapere ad un altro con la maestria dei fuochisti.
Certo, ci sono anche quelle che assomigliano molto al nulla mischiato con il niente, i detrattori di entusiasmo, che però scivolavano come l’olio sui binari della sua più totale indifferenza.
Già, perché poi c’era lei.
Lei che mai aveva più detto una sola parola che fosse buttata lì a caso, dacché, in una delle sue proverbiali fasi di ascolto, si era sentita così apostrofare:
«Ehi tu, piccola cosa».
Piccola cosa… perché a me, piccola cosa? Aveva chiesto, non testualmente, ma indicativamente.
«Se mai dovessi trovare la risposta giusta da dare, te la darò…».
Allora capì: voleva quella fucilata, la desiderava quella risposta.
E proprio mentre iniziava a rendersi conto che la staticità di quell’espressione era rivelatrice di un’attesa che forse mai sarebbe finita, proprio mentre pregava perché quell’attesa fosse rotta da una risposta, ancora mentre focalizzava che l’animo umano aveva perso ogni senso della misura, dacché aveva smesso di usare quale metro esattamente la stessa vita umana, quasi che non contasse più l’idea per cui “ognuno è responsabile di tutti” (nessuno escluso), ecco che il corriere bussò alla sua porta.
Calipso stava aspettando un pacco che arrivava a siglare il senso delle cose: un libro scritto da Alte (senza r) Mani e regalatole dal suo Amico secolare, Morgan.
La dedica era: “Leggi tu stessa”.
Sul retro c’era il commento di un noto critico letterario: «Il racconto di una strada disegnata per reinventarsi; un cammino percorso di cento pagine in cento pagine, verso un ignoto inesplorato che profuma di comunione e disegna un piccolo cerchio di luce infondo al tunnel. Le vicende di chi vuole ad ogni costo tentare di raggiungere quella luce, a dispetto di qualsiasi buio. Una storia fragile, confusa, fiduciosa, coraggiosa, infinita. Ammirevole. Reale».
Il titolo era, semplicemente: “Insieme”.
Ed il sottotitolo che Calipso immaginò fu: “Ad maiora!”
A tutti coloro che conoscono il proprio peso e valore, a tutti coloro che regalano sé stessi, a coloro che non si lasciano aspettare perché conoscono il peso dell’attesa, a chi tende la mano aspettata invece di ritrarla, a coloro che comprendono i vuoti e provano (anche con le fucilate) a riempirli, a chi sta attento, a chi ci crede, a chi ci prova: Dio ti aspetta dove meno te lo aspetti.
Sapete, al contrario dei giocolieri del detto/non detto, Morgan, che era un tizio spaventatissimo, ma sempre pronto a correre, sapeva avere cura delle parole che usava, perché era anche uno che molto attentamente ascoltava: queste ultime, infatti, le aveva nascoste per Calipso dentro quel libro, all’interno di un foglio bianco ripiegato in due, su cui troneggiava la stampa di una margherita fatta di soli petali dispari.
Ci avete pensato? Una margherita, quasi vista di spalle, a cui è sconosciuto il petalo del “non amore”. Oserei dire, in effetti, ontologicamente diversa, naturalmente incompresa, visceralmente in disparte.
La dicotomia a forma di fiore.
Probabilmente e banalmente una persona fra le persone.