Cosa e soprattutto perché dovremmo leggere…

«Molti libri potrebbero essere illuminanti se si prendesse la risoluzione […] di chieder loro l’interpretazione delle nostre esperienze. I libri che ci conviene tenere sono quelli capaci in ogni circostanza di darci un consiglio o un impulso, che ci edificano col racconto di una vita esemplare, che ci narrano la vita di un uomo simile a noi e con ciò ci rassicurano, quelli che ci mostrano l’universo com’è, che ci fanno partecipare ad altre esistenze d’altri luoghi; che riassumono tutto»
(J. Guitton, Il lavoro intellettuale. Consigli a coloro che studiano e lavorano, San Paolo, C. Balsamo 1996)

Leggere è un’esperienza di vita.
È vita quella che si percepisce, fragile, sui polpastrelli delle dita mentre si accarezza la ruvida carta giallognola delle pagine di un libro, quella che si respira e riempie le narici quando si è sorpresi improvvisamente dal pungente e gradevole odore dell’inchiostro di un romanzo appena comprato.

È vita quella che prende forma negli occhi, che si perdono nelle mille righe di un racconto, con la mente che vola, generando immagini, quadri, suscitando emozioni e segnando indelebilmente dentro.

Pagine vive, che parlano, che urlano, cantano, pagine che chiedono di essere ascoltate, incontenibili, sconvolgenti. Non esiste persona al mondo che non abbia mai fatto l’esperienza di immergersi nelle profondità del mare di parole di un libro e che non sia risalito in superficie cambiato, più ricco, con uno sguardo nuovo, con addosso ancora le emozioni di un vissuto non proprio ma che, in un certo modo, va a richiamare qualcosa di sopito che vive negli angoli reconditi di sé.

Avvicinandosi ad un racconto si entra, in punta di piedi, nella storia di qualcun altro, personaggi mai completamente lontani, mai totalmente diversi da noi. Leggendo, scopriamo di avere lo stesso cuore di questi uomini e donne d’inchiostro, vivo, pulsante, tanto da riuscire a seguirne i ragionamenti, comprenderne le motivazioni, condividerne i sentimenti. Le loro gioie diventano le proprie gioie, le loro sconfitte e i loro problemi si arrivano a sentirli prepotentemente sulla propria carne.

Quante volte avremmo voluto, rileggendo più e più volte un racconto, che le vicende dei personaggi si sviluppassero in maniera diversa? Quante sono state le volte in cui abbiamo sperato, fino all’ultima lettera dell’ultima parola, che Ettore non anteponesse il suo orgoglio e il suo buon nome per amore di Andromaca e di suo figlio e, commossi, abbiamo assistito al suo triste destino? Quante volte abbiamo urlato a Giulietta di svegliarsi prima che Romeo si togliesse per sbaglio la vita con quel veleno, per poter vivere assieme a loro la gioia ed il coronamento del loro amore?

Più libri si leggono, più ci si imbatte nella tangibile consapevolezza di quante sfumature possano avere le emozioni umane e di quanto complessa e profonda possa essere la psiche degli uomini.

È un rapporto empatico quello che lega il lettore ai personaggi di un racconto. È toccare con mano qualcosa di reale, di concreto, di vero perché interpella tutto di sé, il proprio pensiero, il proprio giudizio, perché porta a fare delle personali valutazioni il metro di misura rispetto a quanto accade nell’opera.

Le leggi dello spazio e del tempo non possono nulla rispetto al potere di un racconto, in grado di trasportarci in epoche remote, antiche, presenti o future, in luoghi lontani, suggestivi. Le lunghe e impressionanti descrizioni degli autori sembrano inquadrare perfettamente quello che pian piano nasce nella mente dei lettori, tanto che ci si ritrova a contemplare un paesaggio di campagna, fra mille spighe dorate che danzano al vento o a perdersi nelle strade di Parigi ai tempi della belle époque anche se si è sul letto della propria camera o sulla comoda sdraio di un lido balneare.

Allo stesso modo la letteratura, come la lettura, è un’esperienza reale di vita.
Essa nasce da un’esigenza di fondo di raccontare qualcosa, di consegnare un messaggio, di narrare di uomini che con le loro storie fossero per la gente modelli di vizi e virtù, pregi e difetti, specchio della rispettiva società.
Dai diversi racconti della tradizione orale greca, quella dei grandi poemi omerici e delle grandiose vicende mitologiche, si passa gradualmente alla tradizione scritta, quella che è giunta ai posteri, sopravvissuta alla ferocia del tempo che getta tutto nel terribile vortice dell’oblio.

È un vero e proprio desiderio di paternità, di generare vita, quello che spinge un uomo a comporre lettera dopo lettera fiumi di parole nei quali perdersi senza naufragare, a scrivere di uomini, storie, passioni, lotte, sofferenza e gelosie.
Gadamer, filosofo tedesco del XX secolo, espose all’epoca un concetto molto interessante, quello della transmutazione in forma. Egli sosteneva che quando un uomo si cimenta nella creazione di qualcosa – ad esempio, un’aria per un musicista classico, una lirica per un poeta, una tela per un artista – dando sfogo in maniera incontrollata alle proprie esigenze, avviene una sorta di ribaltamento dei rapporti di predicazione: se inizialmente è il creatore ad essere il soggetto agente e la creazione l’oggetto partorito, gradualmente è quest’ultimo a prendere il controllo di tutto, acquisendo vita propria, dominando sul proprio genitore. È in quello stato di trance che viene fuori la verità dell’autore, che, non volontariamente mette a nudo se stesso, il proprio vissuto, le proprie fragilità e debolezze.

In un mondo veloce, liquido, dinamico come quello attuale, vi è una grande esigenza di fermarci, di concederci quella mezz’ora di pausa nei meandri di quelle righe immobili. I libri sono fermi lì, con le loro parole che non scorrono senza freno come le bacheche dei nostri profili social.  I libri – quelli degni essere chiamati tali – sono eternamente fedeli, sanno rimanere in silenzio ad attenderci negli scaffali, fino al momento che le dita non ne tocchino nuovamente il dorso. Essi, aprendosi, schiudono al lettore il loro tesoro immortale, rapendolo dalla frenesia del quotidiano, scrivendo nel cuore senza nemmeno chiedergli il permesso emozioni antiche e sempre nuove.

C’è veramente bisogno di leggere. La lettura è l’arma migliore contro l’ignoranza, non quella di chi non ha ricevuto un’istruzione ma quella di chi spara pareri e sentenze senza criterio, contro la freddezza del cuore, contro l’analfabetismo emotivo. Leggere rende liberi, spezza le catene del facilismo imperante, della superficialità, della liquidità, dell’inconsistenza. Chi legge è indipendente, la sua voce è forte e si fa ben sentire contro il gran chiasso del commento rapido della massa.

La lettura salva, insegna a stare nel mondo con gli occhi aperti e vigili, con lo sguardo attento e fiero di chi non si lascia ingannare dai giganti della manipolazione e del pensiero unico.

È necessario riscoprire la bella abitudine di leggere, sempre più, a nostro malgrado, in disuso. Ognuno, snella diversità degli esseri umani, ha quello spazio, quel genere di libri pronto ad accoglierlo, a coinvolgerlo. Basta solo lasciarsi andare, dire di sì e abbandonare la pigrizia che invoglia alla nullafacenza.

È un semplice tuffo, in acque sempre diverse, sempre nuove, da esplorare: bisogna solo trovare dentro di sé il coraggio di farlo.

Solo così si può far l’incontro con quelle pagine vive che, inspiegabilmente, arricchiscono di quell’«essenziale invisibile agli occhi» la vita.