Bellezza fuori, squallore dentro e viceversa

La cura scrupolosa della propria persona è un atto dovuto. Lasciarsi andare per somigliar’ a un trasandato, a persona sciatta, sbrindellata: non è un valido motivo che possa, idea o negligenza, far scaturire in una persona rispettabile. Non serve sforzarsi per presentarsi diverso da quel che si è, come sarebbe giusto non eccedere, con “artigianalità”, sul “manufatto” corpo. Serve quel tanto che basti nel mantenersi sobrio, misurato in igiene e giammai apparire superficiale o tirchio nel consumo d’acqua e sapone… a meno che non ci si trovi tra le dune del Sahara e l’acqua si presenti come… fatamorgana…

Illusioni, miraggi, apparenze, abbagli, per crogiolarsi nell’apparente autenticità di una esistenza tranquilla, ma ingannevole, in mezzo alla cronicità di uno stato esistenziale morboso, ossessivo, convulso di cui, sembra, non se ne possa uscirne o farne a meno?

Mondezza assoluta si chiede, ma non attraverso ritrovati chimici.  Se uno vuol rifarsi il look e lisciarsi il corpo dalle grinze degli anni, ebbene che lo faccia ma, nel medesimo tempo, non lasciare, poi, che l’animo nuoti tra le impurità morali, tra gli scarti generati da un sistema di vita “spensierata” e irresponsabile, questo no!

Qualora ognuno di noi ci misurassimo coi nostri egoismi e con le nostre stranezze, molti ne usciremmo sconfitti e depressi. Ma spesso succede che piuttosto prenderne le distanze da certi comportamenti e ravvederci, resta sempre più comodo, assai più semplice seguire l’andazzo e altre vie, come la spensieratezza, piuttosto che caricarci di “seccature”.

Prendiamo pure ogni cosa con filosofia e tralasciamo tutto ciò che entri in quella spirituale (filosofia dei valori). Così anche noi potremmo trovarci a vagare dentro scenari surreali, ossessivi, magari in cornici di arte gotica, (la Cattedrale di Notre Dame de Paris), mischiati e accomunati in una specie di “Corte dei miracoli”. “Sporchi”, falsi storpi, ubriachi, imbroglioni, farabutti assassini e quant’altro d’ignobile risma si possa pensare: faremmo da pantomima in un contesto oramai lontano da quello descritto da Victor Hugo nella Parigi del XV° Secolo (1482).

Era emersa allora la zingara Esmeralda ad ombrar la fetida gentaglia con le sue aggraziate doti di ballerina e di cantante: carica di sensibile, ragguardevole umanità; si era distinto Quasimodo, quale sconcezza mostruosa ma spirito caritatevole a fare da contraltare alle varie Eminenze, ai Frollo, ai corrotti balivi e via elencando; era stato messo in grave situazione il poeta Pierre Gringoire, squattrinato, apprensivo, timoroso come pure disatteso da un popolo gozzovigliante, caotico e ignorante, alla presentazione del Mistero rappresentato da lui stesso redatto, scritto. Una recita a singhiozzo da far demolire l’ultimo baluardo di pazienza e di tolleranza: spiriti costruttivi insiti in tutti coloro i quali creano cultura e quanto occorra per rinfocolare gli animi spenti, degli indifferenti e i non curanti della bellezza.

Di tutta la negligenza e la noncuranza, spesso ne vengono a soffrire principalmente tutti coloro i quali fanno, della loro vita, una poesia. Ispirarsi, sciogliersi in componimenti poetici vari, diviene un trattamento per l’animo, da trasmettere specialmente nei cuori e nelle menti carenti di valori, nell’iniettare e consolidarne appunto, quelli mancanti.

Quante volte si assiste a scene, dove il recitante ci mette l’anima a recitar la parte mentre l’astante entra in una fase di completa distrazione e inizia a sbadigliare, prima di passare a imitare il suono di un didgeridoo, strumento a fiato dei nativi australiani, russando?

Lo sfarfallio di pensieri non sempre somiglia a fiocchi di neve oppure a voli graziati di sgargianti lepidotteri in fase di piena evoluzione, ma può rivelarsi viscida fanghiglia, depositata in seno al pensamento distorto.

La “lucentezza” ottenuta con vari artifici, è solo una scappatoia: espediente di compromesso tra l’essere e il divenire. Allo svolgimento, per il raggiungimento del divenire, occorre una mano della fortuna, oltre l’equilibrio del buon senso poiché, se quest’ultimo  venisse a mancare, il “selciato” resterebbe vischioso e impraticabile.

Una storia dai risvolti sorprendenti, paradossali quella di Notre Dame de Paris, dove il male ha la meglio sul bene. Alla fine Gringoire, improvvisatosi temerario si prodiga per salvate dal patibolo Esmeralda ma ci riesce solo con la sua capra, Djali, mentre gli assatanati, viscidi, untuosi “cavoli”, si riscattano da sé.

“Filologia, infatti, è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un’arte e una perizia di orafi della parola, che deve compiere un finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se non lo raggiunge lento” (Friedrich Nietzsche).

“Cesserai d’essere un vero uomo libero, per divenire solo un libero animale egoista, abbandonato ai suoi istinti, se non ti adopererai perché libero come te sia il tuo vicino” (Sandro Pertini 7º Presidente della Repubblica Italiana 1896–1990).


Articolo precedenteA.M.A. S.r.l.
Articolo successivoUn invito a mettere in piedi un’autentica cittadinanza
Salvatore Memeo è nato a San Ferdinando di Puglia nel 1938. Si è diplomato in ragioneria, ma non ha mai praticato la professione. Ha scritto articoli di attualità su diversi giornali, sia in Italia che in Germania. Come poeta ha scritto e pubblicato tre libri con Levante Editori: La Bolgia, Il vento e la spiga, L’epilogo. A due mani, con un sacerdote di Bisceglie, don Francesco Dell’Orco, ha scritto due volumi: 366 Giorni con il Venerabile don Pasquale Uva (ed. Rotas) e Per conoscere Gesù e crescere nel discepolato (ed. La Nuova Mezzina). Su questi due ultimi libri ha curato solo la parte della poesia. Come scrittore ha pronto per la stampa diversi scritti tra i quali, due libri di novelle: Con gli occhi del senno e Non sperando il meglio… È stato Chef e Ristoratore in diversi Stati europei. Attualmente è in pensione e vive a San Ferdinando di Puglia.