LA PRIMA DANZA
Lo specchio riflette ciò che è ora.
La foto lì accanto, all’altezza del viso, infilata nel sottile incavo tra la superficie trasparente e la cornice grigio rovere,richiama alla mente un istante della sua vita che ha bisogno di ricordare ogni giorno e che ogni giorno lui si costringe adimenticare, finché, al suo ingresso nella camera, lo sguardo viene attirato in quella direzione e il ricordo viene riportato in superficie.
Per quanto una foto sia una rappresentazione statica immortalata in una frazione di secondo e per quanto quella foto rappresentasse il ragazzo fermo, seduto sotto una quercia, in quel momento, in quell’attimo, non c’era una sola parte di lui che poteva essere definita statica. Era un turbinio di emozioni ciò che provava: era felice, il suo spirito tormentatoaveva finalmente ricevuto il dono della pace, e sorrideva. Il suo sguardo normalmente cupo, arrabbiato, non accennava neanche la sua presenza, gli occhi al di là delle lenti erano illuminati, splendevano, e sorrideva. La schiena leggermente incurvata, la testa inclinata verso sinistra, le braccia protese in avanti, e sorrideva.
Lo specchio racconta un’altra realtà.
I suoi occhi vagano alla ricerca di un motivo per distogliere lo sguardo, per non doversi soffermare ancora una volta,ancora un altro giorno, su ciò che lo accompagna da mesi e con cui gli altri si sono abituati a convivere. Il richiamo è troppo forte, cede, ed è costretto ad incontrare ancora una volta quegli occhi spenti, pieni di tristezza e angoscia, ascrutarne le profondità e viene risucchiato da quelle tenebre che lo attendono. Le ombre in essi trovano vita, alla luce dellacandela, e proiettano una storia che ormai ha rivissuto innumerevoli volte ma che, impotente, non riesce a fermare.
La pellicola inesorabile arriva alla fine e solo allora riacquista padronanza dei suoi organi visivi. Li sposta in basso, l’unicadirezione in cui non ha difficoltà a procedere, sulla montatura scura appoggiata sul naso, sulla barba troppo lunga, incolta,arruffata, che da allora non ha tagliato, sulle labbra che da tempo hanno rinchiuso il suo sorriso dietro solide mura.
Il suo sorriso. La foto.
Non era solo nella foto. Non era solo. La schiena leggermente incurvata permetteva al suo petto di trovare unappoggio, la testa inclinata verso sinistra permetteva al suo mento di poggiare sulle spalle di qualcuno, le braccia protese in avanti cingevano la vita di lei, in un tenero abbraccio. Si ricorda la sensazione, la delicata forza con cui premevacontro il suo addome, e inconsciamente il suo corpo si muove, le mani trovano qualcosa su cui chiudersi, inspira a fondo,aspettandosi di sentire il profumo dei suoi lunghi capelli, per un attimo lo sente. Ma non è reale.
Ha ancora la foto davanti a sé, e ora ricorda ciò che è successo.
L’aria calda delle serate di fine agosto soffiava leggera, li aveva scortati per tutto il tempo che avevano passato insieme, ingiro per le strade, aveva accompagnato in sottofondo le loro discussioni, prendendo il sopravvento solo in quegli istanti in cui si fissavano e non c’era più bisogno di parlare. Era il suo compleanno e non avrebbe potuto trovare compagniamigliore per festeggiarlo. Era la sua ragazza, il lieto fine di un viaggio che per molto tempo gli era sembrato senza fine,senza meta, senza scopo, ma che alla fine era giunto. Era la sua vita, e venne spazzata via. Era la sua vita, e venne trascinataper venti metri da un’auto guidata a folle velocità nel centro della città, il conducente troppo ubriaco per rendersi conto cheil suo specchietto, tramite il sottile manico di pelle grigia di una borsa, sorreggeva più peso di quanto fosse abituato asopportare, fino a spezzarsi e a liberare sulla strada il contenuto della borsa e la persona a cui apparteneva. L’episodio continua: lo scatto per superare quei venti metri che lo separavano da lei, i minuti persi cercando di sentire il suo respiro,il suo battito, di creare un contatto, di ascoltare una risposta, prima che qualcuno gli spostasse le mani per poter sollevare ilcorpo e caricarlo con gentilezza nell’ambulanza che qualcuno aveva chiamato. Niente di tutto questo trova spazio nei suoi ricordi, la storia presenta il suo epilogo in quel corpo disteso sull’asfalto.
Chiude gli occhi, respira e solleva la mano destra verso il volto, respira e il peso diventa sempre più reale, respira. Riapregli occhi, lo specchio reso opaco dai suoi respiri profondi richiede pochi secondi per schiarirsi, ma la mano continua a salire verso la fronte, e lui non la vede, non c’è il riflesso ad accompagnare il suo gesto disperato. L’ultima cosa chericorderà, l’ultima cosa che quello specchio riuscirà mai a riflettere, saranno i suoi occhi oscurati da quelle tenebre che loattendono, che con ansia lo bramano, lo chiamano, lo convocano al loro cospetto. Hanno molto di cui discutere con lui,molti ricordi da riesumare, e lo sparo della sua pistola segna l’inizio di questo dialogo.
La morte è la prima danza eterna.
Raffaele Magno