Della serie: come umiliare un insegnante

Non c’è cosa più umiliante per chi svolge una professione di tipo intellettuale come l’insegnante, che dover essere impegnato in cose inutili: nasce una resistenza interiore profondamente distruttiva che, alla distanza, porta alla rassegnazione e al disagio definitivo.

Non è del tutto peregrina l’opinione di chi ritiene che, dietro la proliferazione di compiti inutili e di burocratiche alienazioni, ci sia un preciso disegno.

Certo è che, alla scuola burocratica di stampo ottocentesco, si è sostituita una burocrazia schizofrenica che ha sviluppato poi un ulteriore fattore di moltiplicazione: la digitalizzazione, nata per semplificare e cresciuta come un’infezione virale.

Fra le cose inutili un posto d’onore meritano le prove INVALSI.

Di che si tratta?

Gli alunni di II e V “elementare”, di III “media” e di II e V “superiore”, una volta all’anno svolgono prove di Italiano e altre materie (matematica, scienze); le prove si svolgono negli stessi giorni, online; i risultati sono calcolati, scuola per scuola, classe per classe, per valutare il sistema nazionale di istruzione e la sua efficacia. Di qui la sigla INVALSI.

Alcune classi-campione ospitano un insegnante o un dirigente esterno con funzione di controllo, in tutte le scuole le classi vanno a rotazione in laboratorio d’informatica per svolgere le prove e dopo qualche mese le scuole ricevono i risultati.

Premesso che, se questo sistema doveva indurre dei miglioramenti, questi non sono pervenuti, da più parti gli esperti di “docimologia” (leggi “studio della valutazione degli apprendimenti”) segnalano inascoltati che basterebbe un campione del 20% per ottenere dati attendibili.

Invece no, tutti gli insegnanti devono sentirsi impegnati e devono motivare gli studenti ad eseguire questa che è un po’ la parodia delle prove internazionali OCSE PISA, che servono invece a misurare il livello delle competenze di Lingua, Matematica e Scienze dei quindicenni di tutto il mondo. Sono prove a campione che vengono effettuate ogni tre anni.

Di fronte alle prove INVALSI gli insegnanti, preoccupati, stressati dai dirigenti scolastici e dall’opinione pubblica, cosa fanno? Adottano libri di addestramento alle “competenze”, la cui “performance” è richiesta nelle prove INVALSI.

Per quanto riguarda la lingua italiana, si addestra alla “literacy”, alla comprensione del testo, come se gli insegnanti non curassero questa competenza anche a prescindere dalle prove INVALSI. L’addestramento specifico, peraltro, toglie ai test incisività ed autenticità e si finisce col guardare più ai sintomi che alle cause di una scarsa preparazione.

Le prove INVALSI a tappeto presuppongono una filosofia della valutazione piuttosto inquisitoria oltre che inefficace, visto che non ha prodotto alcuna iniziativa per risolvere le carenze degli studenti.

Però di sicuro un effetto c’è: la condizione di inutile disagio di migliaia di insegnanti davanti a questo Grande Fratello della valutazione, una dispendiosa macchina mangia-dati.


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Sono nato a Barletta nel 1956; ho insegnato Lettere per 23 anni e sono stato dirigente scolastico dal 2007 al 2023. Mi sono dedicato allo studio di vari aspetti della storia locale e sono membro della Società di storia patria per la Puglia; ho censito, trascritto e tradotto le epigrafi di Barletta. Per i tipi della Rotas ho pubblicato il romanzo-saggio “Ricognizioni al giro di boa”. Da molti anni mi interesso di religioni (specialmente il Buddhismo Mahayana) e di dialogo interreligioso. Ho avuto la fortuna di avere tre figli e ora di essere anche nonno! Da settembre 2023 sono in pensione: si dice tecnicamente "in quiescenza" ma è un po' difficile fermarsi. Gioco a tennis, mi piace molto viaggiare e credo molto nel lifelong learning. Sono stato cooptato in Odysseo da Paolo Farina :) e gli sono grato per avermi offerto uno spazio per parlare di scuola (e non solo) fuori dall’ambito formale/ istituzionale.

1 COMMENTO

  1. Finalmente una disamina attenta e reale, scritta da una persona che per decenni ha vissuto “dall’interno” la Scuola.

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