L’oro che accarezza

La prima volta che mi sono imbattuta in un quadro di Klimt era il 1991.

Guardavo un film romantico in Tv; una giovanissima Julia Roberts, nei panni di una comune ragazza americana dalla vita molto ingarbugliata che diveniva l’infermiera di un affascinante ragazzo dell’alta borghesia dalla vita altrettanto ingarbugliata. Lei assumeva su di sé il compito di curarlo e di farlo innamorare della Vita.

Lui, appassionato di arte, la ricambia facendola innamorare della pittura. Di Klimt.

E con lei, di Klimt, mi innamoro io.

Non sono un’esperta di arte, l’attrazione che ho per le sue opere è istintiva. Ho cercato di studiare il simbolismo in esse rappresentato, ho approfondito i principi su cui si basava la corrente artistica da lui creata alla fine del ‘800, ma se devo essere sincera, tutto questo mio comprendere e analizzare non ha modificato l’attrazione che i suoi dipinti continuano a suscitare in me. Di questo si tratta: la sua pittura mi incanta.

In questi anni ho avuto il piacere di ammirare le sue opere in due occasioni, sempre a Roma, prima nel 2002 e poi quest’ anno. La prima volta che mi sono ritrovata di fronte ai suoi quadri ho pianto di commozione al cospetto dell’esplosione di colore di una grande tela raffigurante una donna, “immersa nel verde”.

I suoi dipinti più celebri sono dedicati alle donne.

L’universo femminile ammalia l’artista, nella vita privata come in quella artistica.  A Vienna si diffondono leggende intorno al suo atelier, sempre frequentato da presenze femminili che si offrono all’artista affinché ne penetri l’anima, ne legga il corpo e le emozioni. Klimt riesce a rappresentarle in modo stupefacente, come si confà ad un uomo innamorato che subisce e teme il fascino dell’amata, ricerca, fugge e infine cede.

Siamo nell’Europa dei primi del Novecento, un periodo in cui si delinea la figura della “femme fatale”, l’immagine di una donna forte, ammaliatrice, quasi simbolo del male.

Siamo nel periodo in cui Freud svela il potere dell’inconscio e il ruolo dell’eros nello sviluppo della psiche.

Spesso ritroviamo tra le figure femminili ritratte da Klimt, volti austeri, sguardi torbidi, fortemente erotici, immersi   in intarsi multiformi, dai colori brillanti, a creare mosaici surreali   nei quali, nei suoi dipinti più famosi, spicca il bagliore dell’oro.

Scrigni, teche dorate a volte imprigionano le figure femminili ritratte, quasi un estremo tentativo di racchiudere il loro potere malefico, seppur nello splendore dell’oro.

A volte invece l’oro diviene morbida carezza che attraverso mantelli avvolti morbidamente intorno a figure di donne, a coppie di amanti, ne esaltano le forme, la potenza del volto e del gesto rappresentato.

È ciò che avviene nella “Giuditta I “e in “Ritratto di Adele Block-Bauer I” in cui ritrae una delle sue muse, appunto Adele Block-Bauer, esponente della alta borghesia ebrea viennese che tanto lo ammirava.

Nel primo dipinto Klimt la rappresenta nelle vesti dell’esotica principessa Salomè, ad incarnare il fascino ammaliante e torbido di colei che in cambio della sua danza, chiede ed ottiene la decapitazione di Giovanni Battista. Nel secondo, Adele è sontuosamente avvolta da un mosaico dorato che le conferisce regalità e morbidamente la circonda quasi che la sua malia non fosse più così temibile.

La sua attenzione verso le grandi dame, auree, fiere, dominatrici, si alterna con la tenerezza verso la figura materna di cui spesso esalta la potenza generatrice,  e con lo sguardo  affascinato che rivolge alle donne comuni, più giovani, che scruta  con maggior confidenza.

Fanciulle mollemente adagiate tra mille colori, fluttuanti nella trasparenza di mari e fiumi, sinuose, ammiccanti, sguardi languidi o spesso chiusi, quasi irraggiungibili.

Donne che ammaliano con la loro sola presenza. Donne che si lasciano guardare senza vergogna anche nelle pose più intime e che non conoscono volgarità. Donne delicate e pur indipendenti.  Donne pudiche. Sfrontate.

Donne dolci e pur fiere. Donne libere.

Incantevoli presenze ne “La vergine”. Corpi femminili e volti intrecciati a colori e forme in un delicato e sensuale girotondo su cui spicca il volto della promessa sposa, addormentata, le braccia aperte come ad accogliere un sogno meraviglioso, rasserenante.

Nessun accenno alla presenza maschile intorno a lei, quasi a sottolineare che, di questo sogno, è lei la protagonista assoluta. Una giovane donna che vive emozioni diverse, raffigurate dalle fanciulle che le sono intorno; il corpo quasi nascosto dai drappi colorati che le rivestono e i volti in primo piano. Volti lascivi e maliziosi o delicati, ingenui; volti sfuggenti, tristi, nascosti. Volti acerbi di una donna ancora alla ricerca di sé, ancora in divenire. È un ritratto che “fotografa” un periodo della vita, un periodo “al femminile”

Osservo le giovani ragazze da vicino, ogni giorno.  Sono ancora più enigmatiche rispetto alle giovani della mia generazione. Ricordo la mia, di giovinezza; il mito della libertà, le lotte femministe, le assemblee, il rifiuto all’appartenenza ad un genere femminile sottomesso. Ricordo me, sempre in lotta con me stessa, con un corpo nel quale non mi riconoscevo, con desideri che non osavo esprimere.  Le ragazze, oggi, sembrano crescere più velocemente, rincorrono l’età adulta con una smania   che a volte sconcerta e a volte intenerisce ma nel cuore, quando si aprono, conservano l’asprezza dei loro animi acerbi. Ed è universale questo sentire, questo volere. Cambiano le espressioni palesate ma l’essenza permane identica. Una forza e una fragilità che si mescolano, giocano tra loro in una continua lotta. In una lotta che fa di ogni donna un universo meraviglioso.

Lungo la mostra, accanto alle tele, una grande carrellata di disegni. Schizzi spesso solo accennati, leggeri, quasi eterei tratti di matita, in cui si sofferma sul corpo, sul movimento; numerosi gli sguardi fissati sulla carta, i volti.

Klimt legge i corpi e attraverso ogni tratto illustra un frammento di personalità, localizza, nell’universo femminile, un luogo dell’anima.

Il dipinto finale, quello con cui la mostra si conclude, è un grande dipinto, esposto, solitario, in una piccola stanza a cui si accede in piccoli gruppi.

È “La sposa”, rimasto incompiuto. Ancora una volta un girotondo di figure femminili immerse nei mosaici colorati, ancora una volta una giovane fanciulla al centro del dipinto ma questa volta, accanto a lei, ben delineata ed evidente, la figura maschile.

Il viaggio alla ricerca di se stessa è terminato. Ora la giovane sposa è pronta ad accogliere accanto a sé un uomo.

Il capo reclinato, lo sguardo chiuso, dormiente, la giovane donna va incontro ad un nuovo sogno.


FontePhoto di copertina: "La Vergine" (1913) - Národui Galerie, Praga ( https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Gustav-klimt-the-virgin.jpg )
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Sono un’insegnante di Matematica e Scienze che adora raccontare ed ascoltare storie. Ho scoperto il potere terapeutico del racconto in un particolare momento della mia Vita e da allora scrivo storie che prendo in prestito dalla realtà. Nel 2014 ho pubblicato il mio primo libro, È solo questione di tempo. La mia vita, una favola, edito da EtEt, casa editrice con sede ad Andria. Nel 2016 ho frequentato un corso di scrittura creativa con Tommy Dibari, coautore di trasmissioni televisive e scrittore. Nel 2019 viene pubblicato, edito da Progedit, il mio secondo libro, Ti prometto il mare, racconto fiabesco incentrato su storie di donne. Sempre nel 2019 ho frequentato un corso di scrittura creativa con Luigi Dal Cin, autore di libri per ragazzi ed insegnante presso la scuola Holden. Profondamente convinta del valore etico della comunicazione, nel 2019 ho perfezionato le mie competenze con un master in PNL, Programmazione Neuro Linguistica Bio-etica seguito e, nel 2021, con un master in Coaching bio-Etico, conseguiti entrambi presso il centro di formazione Ikos di Bari.

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