L’Aluluria è una commedia latina di Plauto che ha come protagonista un vecchio avaro di nome Euclione, che trova nel giardino di casa sua una pentola d’oro, decide così di sotterrarla nuovamente e di vegliare con ansia su di essa.
L’opera di Plauto ha ispirato Molière nella sua commedia L’avaro: anche in questo caso il personaggio diventa sospettoso e vede dappertutto una minaccia ai suoi averi.
“Fammi vedere la mano! Ora anche l’altra!”, esclama il vecchio Euclione ormai sospettoso di tutti e tutti, rivolgendosi al giovane Liconide, innamorato di sua figlia. Infatti, secondo il luogo comune dell’amore contrastato, il vecchio avaro s’opporrà al matrimonio dei giovani. Sarà lo stesso giovane Liconide a rubare la pentola d’oro, fomentando l’ansia e le paure di Euclione che, costretto dagli eventi, concede sua figlia al giovane.
Il personaggio plautino, come poi quello di Molière, rappresenta, dunque, l’emblema dell’avaro, di colui che è affetto in modo, si direbbe, patologico da avarizia. L’avaro è cieco, tormentato da sospetti che lo rendono esilarante e comico, arriva a voler perquisire chi gli sta attorno, guarda ossessivamente al suo tesoro e finisce per non veder altro.
La lezione plautina anticipa, così, quella cristiana, se vogliamo anche francescana, come invito alla sobrietà e all’uso giusto dei beni materiali.
Un invito rivolto ancora ai potenti che muovono le fila dell’economia: anch’essi dovrebbero comprendere l’insegnamento di questa commedia, il cui messaggio era ben radicato nell’immaginario collettivo del popolo romano e intravedeva la bellezza di una vita sobria secondo il valore classico dell’humanitas.
D’altronde, in tempi in cui tanti disperati non hanno di che vivere, non è detto che rinchiudersi in palazzi d’oro e torri d’avorio, come novelli Paperon de’ Paperoni, dia davvero la felicità.