
Con il ciclo di rappresentazioni “Wolfgang Amadeus e le grandi fiabe musicali”, il 23enne andriese Riccardo Sgaramella si impone alla Scala di Milano con creazioni scenografiche degne di un giovane artista ed un eterno sognatore
Ciao Riccardo. Nell’immaginario collettivo del mondo del Teatro, è insolito per un giovane approcciarsi alla Scenografia. Cosa ti ha spinto a dedicarti proprio a questo ramo della Settima Arte?
Penso che certe scelte siano determinate da una forte attrazione verso qualcosa di grande; da piccolo guardavo all’arte e al teatro come qualcosa fuori dal comune, qualcosa che non rientrava tra le cose quotidiane, a momenti l’ho anche guardata come qualcosa di irraggiungibile. Ho fatto gli studi artistici al liceo ma non sapevo bene quale fosse la meta, poi, a quindici anni, mi hanno messo sul palcoscenico e mi hanno chiesto una scenografia per un musical, da lì non ho più avuto dubbi. Ho finito il liceo e ho deciso di trasferirmi per studiare a fondo questo ambito, fino al conseguimento della laurea in Scenografia a luglio scorso presso la NABA di Milano.
Sapresti tradurci, a parole, le emozioni di calcare il prestigioso palco del Teatro alla Scala di Milano?
Non ho ancora trovato una parola che descriva cosa si prova quando si entra in quel Teatro, perché è un posto immenso, bellissimo e assurdo, un luogo che ti lascia completamente stregato. A 21 anni mi sono ritrovato lì a fare uno stage nel settore regia, incredulo ogni giorno di quello che stava succedendo, ci ho messo un paio di mesi a realizzare. Ogni giorno che mettevo piede sul palcoscenico rimanevo incantato, proprio come ti dicevo prima, come se non fosse reale tutto quello che era intorno a me. Ho provato gratificazione, paura, perché era tutto grandioso e io mi sentivo minuscolo, gioia a non finire, dalla sensazione di fare la prima messa in scena a stringere la mano a Woody Allen. Se devo racchiudere in una sola parola sceglierei la gratitudine di imparare stando in un posto così grande, circondato da professionisti che mi hanno insegnato tanto e sono anche diventati amici oltre che colleghi.
Quali sono state le principali differenze tecniche di allestimento per le illustrazioni sceniche de “Il carnevale degli animali” e di “Storia di Babar piccolo elefante”?
Sono stati due percorsi diversi, Il carnevale degli animali doveva essere una sorta di parata di animali, la regista Lorenza Cantini aveva immaginato delle grandi sagome in testa ai figuranti, e sono state cose pensate per ogni singolo personaggio, con dimensioni che le allontanassero dalla realtà. La storia di Babar invece è stata immaginata come un film muto, con diversi fotogrammi che creassero dei movimenti dei personaggi simili allo stop motion, tutto in bianco e nero, con i disturbi della pellicola e una cornice in stile Scala. Due lavori differenti, uno di progettazione e l’altro di illustrazione e montaggio video.
Che tipo di insegnamenti cerchi di carpire da maestri quali, ad esempio, il Premio Oscar, Dante Ferretti?
Dante Ferretti è tra gli apici dell’ispirazione per uno scenografo, è un cultore della bellezza, perché l’arte serve a conservare la bellezza e il teatro, il cinema, vanno oltre questo, perché costruiscono delle bellezze ad hoc. Da lui sicuramente si può imparare la maestosità, l’eleganza, il buon gusto, ogni cosa è impeccabile ed è lì per un motivo preciso.
Progetti futuri?
Il 2020 ci ha destabilizzati, ha fermato tutto e stiamo cercando di uscirne sani e salvi. Per il futuro spero di recuperare le cose perse in questo anno, alcuni lavori teatrali e non, uno spettacolo qui in Puglia con la scuola Sipario di Andria e poi chissà…!