L’amore. Quello che non è. Quello che è. Quello che ci affascina
Che cosa è l’amore? A questa domanda la nostra mente tentenna e, più che ad una definizione astratta, pensa alle varie esperienze che l’uomo ha di esso. Amore vero o finto, carnale o sublime, platonico o passionale… Pur essendo diverso per ognuno e non avendo dei contorni precisamente definibili, esso tuttavia rimane quel sentimento uno ed unico che accomuna l’uomo di ogni luogo e di tutti i tempi. Per questo è possibile rintracciarne le varie sfaccettature, in dialogo con le immagini e le proiezioni che dell’amore la mente dell’uomo ha elaborato, e le sue rappresentazioni culturali che sfociano nell’arte, nella letteratura, nella musica e nella religione. Iniziamo questo percorso dall’amore dello sposo.
“Il mio amato è mio e io sono sua”. Sono parole del Cantico dei Cantici, un poema biblico che canta ed esalta l’amore tra l’uomo e la donna, senza rinunciare all’uso di un linguaggio sensuale e carnale, che forse può scandalizzare chi pensa che la Bibbia debba essere distante dal codice troppo umano della sessualità. Tali parole costituiscono una grande dichiarazione d’amore, tesa ad affermare l’esclusiva appartenenza a colui che si ama. Non è volontà di possesso, né manifestazione di una soffocante gelosia, ma il riconoscimento di un rapporto unico ed irripetibile che si costruisce nella libertà del donarsi all’altro e nella fedeltà quotidiana.
Al centro di uno dei dipinti che Marc Chagall, pittore del ventesimo secolo, dedica all’illustrazione del Cantico dei Cantici, vi è l’unione dei due amanti, visibile nel loro reciproco guardarsi. L’animale alato (Pegaso, simbolo della poesia) libra gli innamorati sulla folla della città sottostante. Le ali, del colore del sole, rappresentano forse la forza del desiderio che genera, sostiene ed intensifica il loro legame. Le figure si stagliano su uno sfondo rosso, colore che esprime la passione dell’amore e la forza della vita.Lo sguardo e il desiderio costituiscono, altresì, le basi su cui si regge la costruzione narrativa del Paradiso dantesco. Nel terzo regno, è Beatrice a rendere sempre più forte e penetrante la capacità visiva del pellegrino, e ciò avviene attraverso l’infusione del suo sguardo in quello di Dante:
La vista mia, che tanto lei seguio
quanto possibil fu, poi che la perse,
volsesi al segno di maggior disio,
e a Betrice tutta si converse;
ma quella folgorò nel mio sguardo
sì che da prima il viso non sofferse (Par. III, vv.124-129).
Come Dante racconta nella sua Commedia, l’amore senza l’uso di ragione può condurre alla morte (come nel caso di Francesca) o portare all’incontro con Dio. Diventa importante, allora, comprendere quanto l’amore può essere determinante per due persone. La sua fiamma, a volte nascosta sotto le ceneri di una monotona quotidianità, altre volte divampante a mo di un incendio improvviso, può riscaldare, come avviene in un tenero abbraccio, o bruciare fino ad uccidere i sentimenti, l’esistenza e perfino la vita dell’altro (si pensi alla quanto mai attuale brutalità del femminicidio). In tal caso, l’amore, da forza vitale si trasforma in una minaccia che genera morte, negando e tradendo le promesse di felicità racchiuse in ogni singolo gesto o parola d’amore.
Concludo queste piccole riflessioni, riportando una lirica di E. Montale, al cui centro vi è ancora quello sguardo capace di raccontare e racchiudere, al suo interno, tutta la vita di coloro che si amano. Due occhi che si incrociano e si sovrappongono fino a coincidere perfettamente, immagine di una vita aperta all’amore, che si fida ed affida allo sguardo dell’altro perché mi appartiene, è “mio”, come “mio” è l’amato del Cantico del Cantici:
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi non crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.