Ne abbiamo viste delle belle. Che poi belle non sono state per niente, ma questa è un’altra storia. Questo momento ha messo tutti a dura prova, obbligandoci a rivedere le nostre priorità, le abitudini, le responsabilità, oltre che a toccare i nostri nervi, sempre più scoperti man mano che i giorni passavano.

Molto spesso durante questi mesi la mia curiosità mi ha portato a pormi domande su come stessero vivendo altri tipi umani questo periodo di confinamento, e ora che è appena passato ho pensato che mi sarebbe piaciuto coinvolgere alcuni di loro in un piccolo progetto di osservazione.

E da chi partire, se non da coloro che racchiudono in sé più d’uno di questi tipi umani?

Le mamme, che poi mamme soltanto non sono mai. Factotum e trinità dei tempi moderni, donne-mamme-lavoratrici. Per iniziare, dunque, ho deciso di incontrare tre di queste creature mitologiche contemporanee di mia conoscenza.

R. è una geologa presso il Servizio Geologico d’Italia ed è mamma di due ragazzi di 11 e 15 anni. “Il lavoro da remoto è iniziato subito, la pubblica amministrazione lo ha abilitato da un giorno all’altro. La prima preoccupazione è stata quella di avere abbastanza dispositivi per lavorare tutti e tre allo stesso tempo, ma ci siamo organizzati”. La presenza costante dei figli in casa non ha creato particolari problemi, a parte qualche piccolo bisticcio tra fratelli, ma per fortuna i ragazzi si sono adattati. “Entrambe le scuole dei miei figli hanno attivato la didattica a distanza in pochissimi giorni, e i professori sono stati molto capaci. Certo, l’orario era ridotto di molto, ma è andata abbastanza bene, considerando che nessuno se lo aspettava”. Mi confida che qualche inciampo c’è stato sul versante dei compiti a casa da inviare e sugli strumenti da utilizzare per farlo, come Google Classroom, fino a poco fa sconosciuto a moltissimi: “Il periodo di rodaggio è stato stressante, ma ce l’abbiamo fatta. Direi che addirittura questi mesi hanno responsabilizzato mio figlio di 11 anni, ora è quasi del tutto autonomo”.

B. è un avvocato di Grandi Stazioni Retail, mamma di due ragazzi di 11 e 16 anni. Mi racconta che il suo lavoro è continuato da casa, mentre i suoi figli si approcciavano all’allora sconosciuta didattica a distanza. “Mio figlio undicenne studia con altri due compagni di classe su Skype: io e le altre mamme abbiamo pensato che l’unione avrebbe costituito uno stimolo intellettuale”. Della didattica a distanza non ha impressioni negative, trova che i ragazzi siano diventati subito abilissimi e loda i professori che “dovevano fare anche una bella figura, perché vengono sempre criticati”. Non nega però di aver trovato questo periodo molto faticoso: “I ragazzi si sono appiattiti, perché mancava il rapporto con i professori e con i compagni, lo scambio, la condivisione”.

 

M. ha tre figli di 4, 8 e 11 anni. Lavorava da pochissimo per una società che si occupa di assistenza clienti telefonica che ha abilitato il lavoro da remoto per tutti, ma avendo tre bambini alle prese con la didattica a distanza ha chiesto di essere messa in cassa integrazione. “Nella gestione dei ragazzi sono stata aiutata da mio marito, che comunque lavora tutto il giorno da casa. La presenza di tutti in casa nello stesso momento è stata dura”. Mi racconta che la sua esperienza con la didattica a distanza non è stata uniforme: è andata molto bene per suo figlio maggiore, mentre il suo secondogenito, pur avendo maestri bravissimi, non ha avuto video lezioni, solo compiti da consegnare ogni giorno via mail. “È stato faticosissimo, lui a un certo punto non voleva proprio saperne. All’inizio studiava con alcuni compagni su Skype, ma poi la voglia è andata sempre più scemando”. M. ha anche un bambino di 4 anni che frequenta la scuola materna: “Le sue maestre sono state fantastiche, ci inviavano tutti i giorni dei video con qualcosa da fare, ma anche lui dopo un po’ è diventato poco collaborativo. Iniziava a guardare i video inviati dalle maestre, poi aspettava che io mi distraessi per andare su Youtube… Ora dobbiamo davvero disintossicarci dai dispositivi!”.

 

E il tempo, lo spazio per sé?

“C’era poco tempo da riempire!”, mi dice R. “Da casa non si finisce mai di lavorare. La pausa caffè diventa la pausa lavatrice. E la pausa pranzo significa cucinare, apparecchiare, sparecchiare, pulire. Ho lavorato in soggiorno, e non ho trovato rifugio nemmeno nella mia stanza, che di solito non condivido con nessuno”.

M. mi risponde che non si è mai riposata, tra lavori domestici, compiti, giochi con i ragazzi e cucina. “Ho impastato di tutto per mesi, ora invece ho il rifiuto! A parte gli scherzi, sono molto stanca. Non sono riuscita a ritagliarmi del tempo per me, sono riuscita a leggere solo un libro in questi mesi”.

Abbiamo parlato di smart working, di figli, di didattica a distanza. Ma mi interessava anche indagare la dimensione più umana e sensibile delle donne intervistate, e capire cosa avessero provato durante questo periodo buio.

“Sono stata molto preoccupata, ma non in maniera cosciente. Non ho dormito bene, e ho provato molta ansia per il futuro, per i miei figli e per i miei genitori. Inoltre, ero in pensiero per il mio compagno che vive in Olanda. Ancora non si sa quando sarà possibile ritrovarsi. Ora però sono più positiva, perché mi sembra che la situazione stia rientrando”, mi racconta R.

B. solleva una questione diversa. “Mi sono sentita stressata, soprattutto perché molte mamme riempivano la chat comune di messaggi anche durante l’orario di lavoro. Da mamma è stato un momento terribile, ho provato tanta ansia e nervosismo che purtroppo ho scaricato sulla mia famiglia.” E conclude con un pensiero importante: “Sentivo di dover dare il massimo nella gestione di ogni cosa: nel lavoro, come mamma, e come moglie”.