Scienza, opinioni e comunicazione ai tempi del coronavirus
La comunicazione ai tempi del coronavirus dovrebbe essere molto più rigorosa di quanto dovrebbe ovviamente sempre essere per due ragioni principali:
1) una scorretta comunicazione può generare panico immotivato o pericolosa superficialità nell’affrontare un problema non solo sanitario, ma anche sociale, politico ed economico;
2) le opinioni personali di tanti sapienti ignoranti, di personalità cioè più o meno “certificate” che ignorano il problema di cui discettano, servono solo a creare confusione, non solo mediatica, ma anche sociale.
In queste ore circola la bizzarra ipotesi del presidente dell’Ordine nazionale dei biologi Vincenzo D’Anna, il quale ha sentenziato perentorio: “Sembra che il nuovo ceppo del virus isolato a Milano sia domestico e non abbia cioè alcunché da spartire con quello cinese proveniente dai pipistrelli. Un virus padano esistente negli animali allevati nelle terre ultra concimate con fanghi industriali”.
Perbacco! Un virus padano in effetti mancava ancora all’appello.
Dopo la prima reazione di incredulità e sgomento, ho cercato di capire e cercare in letteratura l’evidenza scientifica da cui una personalità, che rappresenta nientepopodimeno che l’Ordine nazionale dei biologi, quale il già senatore D’Anna (sì perché Vincenzo D’Anna non è solo Biologo; non è solo presidente dell’ordine nazionale dei biologi, è stato anche Senatore della Repubblica Italiana nella XVII legislatura) si sia documentato.
Cerca e ricerca non ho trovato nulla; non una pubblicazione scientifica in extenso, non un abstract, non una nota dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, o del nostro Istituto Superiore di Sanità, nulla!
Da quale fonte allora si è abbeverato il Dr. D’Anna per dimostrare l’esistenza di virus padano? E quali analisi il Dr. D’Anna, o chi per lui, ha condotto per dimostrare che la nascita del virus padano è legata all’allevamento degli animali “nelle terre padane ultra concimate con fanghi industriali” ???
Alla prima domanda, forse avevo trovato una risposta; la notizia su cui il Dr. D’Anna ha elaborato il suo pensiero circa il virus padano è stata, ho pensato, quella fornita, in data 28 febbraio 2020, da un’equipe di medici e ricercatori dell’ospedale Sacco di Milano guidati dall’infettivologa Claudia Balotta e formata da Alessia Loi, Annalisa Bergna e Arianna Gabrieli (ricercatrici precarie), affiancate dal collega polacco Maciej Tarkowski e dal professor Gianguglielmo Zehender: Isolato il ceppo italiano di coronavirus, “utilizzando il materiale biologico dei primi tre pazienti che provenivano dalla zona rossa attorno a Codogno”.
I ricercatori aggiungono che “il valore aggiunto della scoperta di oggi è proprio che potremo individuare le differenze fra i due (ceppi di virus: quello isolato all’ospedale Spallanzani dai pazienti cinesi e quello isolato all’ospedale Sacco dai pazienti provenienti dalla zona di Codogno, ndr), che ci permetteranno di stabilire il suo percorso in Italia, i rapporti fra il ‘cluster’ lombardo e quello veneto e tutti i successivi contagi”.
Tanto è bastato al Dr. D’Anna per elaborare la sua ipotesi e a rincarare la dose verso chi studia il COVID-19 e verso chi gestisce le problematiche causate dal virus venuto dalla Cina: “una delle più grandi cantonate che la politica italiana ha preso, nel solco di quella approssimazione che la caratterizza tutti i giorni”. In questo quadro, sostiene D’Anna, “escono male le istituzioni sanitarie statali troppi asservite al conformismo, il silenzio di migliaia di scienziati, ricercatori ed accademici”.
Addirittura!
Che cosa non avevano capito gli scienziati, virologi, infettivologi, epidemiologi italiani, oltre alle istituzioni sanitarie statali, in prima linea nella lotta al coronavirus, rispetto all’intuito geniale del Dr. D’Anna??
L’opinione del Dr. D’Anna viene subito smontata dalla stessa Dr.ssa Balotta interpellata dal Fatto Quotidiano: “Certamente questo coronavirus viene dalla Cina. Non penso in alcun modo che questa epidemia possa essere paragonata all’influenza. Il paragone non è fattibile oltre che non scientificamente provato”.
Proviamo a dare una notizia al Dr. D’Anna, di quelle che si studiano nel corso di virologia ai primi anni di un corso universitario in biologia o medicina o biotecnologie e che si possono perfino trovare in alcuni libri di testo delle scuole medie superiori: I virus a RNA, come per esempio quello del coronavirus in questione, vanno incontro a diverse ricombinazioni, cioè possono subire diverse mutazioni, che lo possono rendere più o meno aggressivo. Questo quindi potrebbe spiegare le potenziali differenze tra i due ceppi virali: quello cosiddetto cinese e quello italiano (o padano secondo la nomenclatura D’Anna).
A questo punto il Dr. D’Anna interpellato in merito alla sua dichiarazione risponde attraverso il suo entourage che afferma: “È solo un’ipotesi. Servono conferme. Se ne potrà parlare solo quando ci saranno risultati di laboratorio”.
Ecco, Dr. D’Anna, questa frase ci piace di più; le ipotesi magari le può anche trattenere fino a quando non abbiano un fondamento scientifico, fino a quando ci saranno risultati di laboratorio che significa tra l’altro studiare, ricercare, usare il metodo scientifico di Galileiana memoria; e siamo d’accordo con lei, prima di veicolare notizie/ipotesi che possono generare confusione servono conferme che possono solo derivare da una rigorosa sperimentazione scientifica.
Prima di chiudere, qualora sia abbia contezza di un virus terrone, cresciuto magari in zona terra dei fuochi o zona Xylella, vi chiediamo solo di farcelo sapere a caratterizzazione avvenuta, magari da una equipe di Scienziati!
Antonio Musarò – Docente Sapienza università di Roma