Intervista a Vincenzo Esabon

Ogni settimana, da dieci anni, il morbido cuscino della sedia in pelle mi accoglie con l’amenità di chi offre refrigerio, una mezz’ora da dedicare a se stessi, specioso barlume di virilità miniata da villose gote e scarmigliati ciuffi. Fra le piume rattrappite di quel cuscino si intravedono piume la cui leggerezza è tangibile dal raffinato tocco di un’affilata lama che ti seduce epidermicamente per strapparti via foruncoli e pregiudizi. Più leggero di una piuma, o sarebbe meglio dire di un peso piuma, il mio barbiere Vincenzo Esabon mi racconta di quando sferrava cazzotti sul ring, di come, da pugile semiprofessionista, sia stato costretto ad abbandonare la passione per uno sport che gli valse una medaglia d’oro alle Olimpiadi Militari di Pescara nel 1971. Una carezza in un pugno di celentaniana memoria, insomma, l’ultimo round da dedicare ad Odysseo, un viaggio nella memoria da urlare prima del gong.

Vincè, perchè non mi hai mai mostrato questa foto?

Sai Miky, a volte è doloroso aprire il cassetto dei ricordi, troppe emozioni, ma anche troppi pugni in faccia. (ride)

Nel 1971 eri uno spensierato ventenne. Da dove nacque il desiderio di cimentarti in questa complicata disciplina?

L’obbligatorietà del servizio di leva mi strappò via dagli affetti famigliari. Fui mandato a Cosenza, ci restai per un mese. Dopodiche, il Generale Marchesi, un giorno, ci convocò alludendo alla possibilità di allenarsi con professionisti nella Scuola Ginnica Militare di Orvieto. Ovviamente, colsi la palla al balzo e accettai.

Qual era il criterio di selezione degli atleti?

All’epoca non tutti navigavano nell’oro, anzi. I fisici erano intabarrati in esigue taglie di vestiti, pochi trovavano un piatto di pasta sulle loro tavole. Per fortuna, però, mio padre mi aveva già iniziato ai lavori da campo e i miei 54 chilogrammi mi collocarono di diritto nella categoria dei “Pesi Gallo”, step intermedio tra “Pesi Minimosca”, “Pesi Mosca” e “Pesi Piuma”.

Quanto è durato l’allenamento/addestramento ad Orvieto?

Quasi dieci mesi. Ricordo ancora che il mio sparring partner era un andriese, strano ma ho dimenticato il suo nome. Non potrò mai scordare, però, il suo destro, una botta terrificante. Preferivo non avercelo di fronte. Spesso scherzavamo sulle nostre origini. Anch’egli veniva dalla campagna e una sera, tra le nuvole da ciminiera delle nostre Marlboro, mi confessò che quel gancio provenisse dalle sfiancanti ore spese a raccogliere olive e fuscelli.

Cosa ti è rimasto impresso del giorno della finale?

Il caldo soffocante di un’estate appena accennata. Giravo in tuta per le strade di Pescara, la gente mi guardava con curioso stupore. Dovevo vedermela con uno sfidante di tutto rispetto, un possente carabiniere molto più alto del Sottoscritto.

Che sensazioni ti ha dato conquistare la medaglia d’oro?

Una gioia immensa, emozioni indescrivibili. L’indomani i quotidiani locali parlavano di me, mi sentivo una star e mi resi conto di quanto non mi fosse pesato, alla fine, essere così a lungo lontano da casa. Le Olimpiadi Militari del ’71 mi insegnarono ad incassare colpi nella vita con sacrificio, orgoglio ed umiltà.

Perche non hai più continuato l’attività agonistica?

Perchè dovevo portare il pane a casa, dovevo aiutare i miei. Ero cresciuto col mito di Muhammad Alì, restai sveglio di notte per guardare l’incontro con Foreman. Alì soleva ripetere che i veri valori della vita erano altri. Diciamo che seguii alla lettera i suoi consigli, probabilmente avrei potuto fare carriera, ma non rinnego il corso che hanno preso gli eventi. In fondo, mi considero un padre ed un nonno buono ed equilibrato, un equilibrio difficile da mantenere, l’equlibrio di chi vive, sempre, sul filo…del rasoio!


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.