
“Io la felicità la voglio addosso come la febbre”
Il mercante di luce – Roberto Vecchioni
Tutto chiede salvezza!
È il suggestivo titolo della nuova serie Netflix, uscita il 14 ottobre scorso e ispirata all’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli che peraltro ha vinto nel 2020 il Premio Strega Giovani.
Ma “Tutto chiede salvezza” non è solo una serie, non solo romanzo, ma la storia stessa dell’autore, il quale nell’estate del 1994 viene ricoverato per sette giorni, dopo un violento accesso d’ira e una grave lite familiare, in cui colpisce e ferisce il padre.
Quella settimana di TSO diventa però per Daniele un’occasione per viaggio interiore, per conoscere le storie dei propri compagni di stanza e per scoprire che un modo per dire la propria salvezza è usare il linguaggio della poesia e della letteratura.
Salvezza: parola coraggiosa, oggi purtroppo poco utilizzata e compresa. Parola squisitamente religiosa – deriva dal latino salus – che sta ad indicare la salute integrale della persona.
Salvezza potrebbe essere nel linguaggio teologico l’equivalente del termine laico felicità.
Come è possibile notare, nel corso del tempo i termini e le modalità possono cambiare, ma i temi che davvero contano rimangono sempre lì, a provocarci.
Quello che la società odierna in materia religiosa vuol gettare fuori dalla porta, ecco che rientra inesorabilmente dalla finestra.
Ma che cos’è la salvezza per le religioni?
Per rispondere a questa domanda, bisogna fare un distinguo interessante, perché un conto è la salvezza intesa dalle religioni orientali e un altro quella delle religioni monoteiste e rivelate.
Infatti, per le prime, potremmo dire figurativamente che la salvezza va “dal basso verso l’alto”: l’uomo lascia tutto ciò che lo ostacola (il suo corpo, gli altri, la sua storia) per raggiungere la perfezione.
Scrive a riguardo il teologo Brunetto Salvarani: “Nello specifico, per tradizioni spirituali quali l’induismo e il buddhismo la salvezza è collegata con un auspicato processo di liberazione dall’ignoranza, fino a raggiungere una progressiva purificazione e lo scioglimento dal ciclo delle rinascite (samsara)”.
Mentre, per le religioni monoteiste e rivelate, la salvezza va “dall’alto verso il basso”: è Dio a fare il primo passo, ha rivelarsi e ha salvare l’uomo in qualunque condizione si trovi.
Come si può ben comprendere nella lettura del romanzo e/o nella visione della serie, la salvezza di Daniele è certamente più vicina a quella dei monoteismi, in particolar modo alla prospettiva cristiana.
Infatti, Daniele mette subito in evidenza come non ci salva mai da soli.
L’uomo è un essere sociale dall’inizio alla fine e anche la sua felicità è collegata a quella degli altri. Anche quando gli altri siamo noi.
Inoltre, la salvezza avviene con la totalità della propria persona: ragione, corpo, sentimenti, volontà, anima, spirito procedono nel movimento dinamico della salvezza.
Essa, infatti, ingloba e attraversa tutte le dimensioni della persona, compresa la storia, la quale è sempre unica, importante e irripetibile.
Nessun pezzo rimane fuori, perché la salvezza (intesa teologicamente) non cade mai sul nulla, ma sull’umano che già c’è.
Per cui la salvezza così intesa non va solo “dall’alto al basso” ma anche “dall’interno all’esterno”.
La felicità e il senso (tutti sinonimi di salvezza) non sono allora da intendere come un “deus ex machina”, che come un supereroe viene a prelevare l’uomo dalla sua condizione, ma una sprinta è una forza che viene a salvarlo dal di dentro.
Papa Francesco, incontrando i membri dell’Azione Cattolica qualche giorno fa, ha detto: “È il principio di incarnazione, la strada di Gesù: portare la vita nuova dall’interno, non da fuori, no, da dentro”.
Per dirla con una voce protestante, quella Dietrich Bonhoeffer: “Dio non ci salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza. Non ci libera dalle tempeste ma ci dona forza dentro le tempeste. Non protegge dal dolore ma nel dolore. Non salva il Figlio dalla croce ma nella croce”.
La “salvezza messianica”, avviata sulla terra mediante l’incarnazione di Gesù, si differenzia dalle altre soteriologie proprio in quanto è una salvezza “del” corpo e non “dal” corpo, “della” terra e non “dalla” terra, “del” tempo e non “dal” tempo, e così via.
Per cui, la salvezza cristiana non salva dalla storia, ma penetra nelle storie delle esistenze umane per trans-figurarle da dentro.
Per quanto ci si sforzi, è sempre difficile dire la salvezza. Tant’è vero che le parole vengono meno e l’uomo non può far altro che semplicemente balbettare ciò che non sa dire in maniera compiuta.
Scrive Mencarelli stesso: “Quello che voglio per tanto tempo non è stato semplice da dire […]. Ho trascorso questi primi vent’anni di vita a studiare le parole migliori per descriverlo. E di parole ne ho usate tante, troppe, poi ho capito che dovevo procedere in senso contrario, così, di giorno in giorno, ho iniziato a sfilarne una, la meno necessaria, superflua. Un poco alla volta ho accorciato, potato, sino ad arrivare a una parola sola. Una parola per dire quello che voglio veramente, questa cosa che mi porto dalla nascita, prima della nascita, che mi segue come un’ombra stesa sempre al mio fianco. Salvezza”.
È questo il paradosso della salvezza: sa essere felice anche quando il vento è contrario, sa sentirsi realizzata anche quando tutto crolla attorno, sa continuare ad amare anche quando tutti hanno smesso di farlo.
Parafrasando un bellissimo passo di Mencarelli, l’uomo si salva ed è vivo anche quando contempla i limiti della propria esistenza. Semmai è da pazzi pensare che un uomo non debba mai entrare in crisi.
Così intesa, la salvezza allora è più vicina di quanto si crede. È praticamente attaccata addosso ad ognuno.
Direbbe Angelus Silesius:
“Fermati, dove corri?
Il cielo è dentro di te;
Se altrove tu lo cerchi
In eterno lo perdi”.
Salvezza è, in ultima battuta, la parola che dà senso anche al buio, è la ferita che diviene feritoia, è l’oro usato per dorare le cicatrici delle nostre fragilità.
Per cui, la parola in chiusura a Daniele Mencarelli:
“Salvezza. Dalla morte. Dal dolore.
Salvezza per tutti i miei amori.
Salvezza per tutto il mondo.
[…] Per i vivi e per i morti, salvezza.
Per i pazzi di tutti i tempi, ingoiati dai manicomi della storia”.