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Alla vigilia del tanto atteso prodigio della Sacra Spina, custodita nella Chiesa Cattedrale di Andria, vogliamo soffermarci in questa settimana a riflettere su questo segno prodigioso.
Si tratta di un indubbio richiamo della passione di Cristo, quel Cristo che non dorme più, perché è Risorto.
Sfogliando i brani sulla passione del Signore, raccontata da tutti e quattro i Vangeli, si assiste quasi alla salita al trono di un Re “al contrario”, così come ama commentare Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose.
Tale Re, Gesù Cristo, viene rivestito di un manto scarlatto, piuttosto che di un mantello ornato di oro e argento; gli viene posta nella mano una canna piuttosto che un scettro; sul capo una corona di spine piuttosto che una corona di oro e diamanti e, infine, sale su un trono del tutto particolare, quale la croce.
Di tutti questi segni vogliamo porre la nostra attenzione sulla corona di spine, quella corona che – stando a quanto riportato dai vangeli – diversamente dal mantello non viene più tolta dal capo di Cristo.
Ma che cosa potrebbero stare a significare le spine?
Origene affermava che questa corona particolare è costituita “dalle spine dei nostri peccati”.
Altri sostengono che le spine starebbero a rappresentare le fragilità, i dolori, le mancanze, le preoccupazioni, la morte degli uomini, che Cristo, Uomo tra gli uomini, ha preso su di sé e ha sconfitto.
Con la morte di Cristo e la sua risurrezione si ode così “morire la morte”.
Come è noto, ad Andria, quando il 25 Marzo, giorno dell’Annunciazione del Signore, coincide con il venerdì Santo, giorno in cui si ricorda la passione e morte di Gesù Cristo, si ha un mirabile prodigio: una spina della corona di Cristo si “rianima”. L’evento sembra dire all’uomo del nostro tempo che Dio non si è stancato di donare Cristo all’umanità ferita e travagliata per la salvezza del mondo.
Dall’altro canto, c’è l’uomo che continua ad insultare Cristo, lo crocifigge ancora come allora. Anche se – bisogna riconoscere sempre – ci sono anche molti che nel silenzio al grido “se tu sei veramente il Figlio di Dio, scendi dalla Croce e ti crederemo!” preferisce dire insieme al buon ladrone: “non ha fatto nulla di male”.
La spina, allora, diviene sì segno di un Cristo che muore, ma anche richiamo alla risurrezione.
San Paolo parla della passione, della morte e della risurrezione di Cristo come tre momenti di un unico evento.
Morte e risurrezione, infatti, sono momenti collegati tra di loro e non a sé stanti: senza la croce non ci può essere risurrezione, senza la notte oscura non può esserci l’alba del nuovo giorno e del giorno nuovo.
Come Paolo, anche l’uomo, sulla via di Damasco della sua quotidianità deve poter sperimentare che “il Crocifisso è il Risorto e il Risorto è il Crocifisso”.
Il rinnovarsi del prodigio, allora, diviene segno di misericordia e di speranza: Gesù vive ancora, muore e risorge ancora per noi ed è egli stesso speranza di un cielo qui, adesso e dopo.
L’eterno entra nel tempo, l’infinito nel finito, il futuro entra nel presente che ancora attende.
Agostino d’Ippona, in un suo discorso, così scriveva: “Poi ci sarà la risurrezione della carne. E qui siamo alla fine. Ma fine senza fine è la risurrezione della carne; dopo non ci sarà più morte della carne, mai più sofferenza della carne, mai più vecchiezza e disfacimento della carne. Non rabbrividire dunque per la risurrezione della carne; considera i suoi vantaggi, non pensare ai mali. Qualunque sofferenza della carne, di cui ora ci lamentiamo, dopo non ci sarà più; saremo eterni, uguali agli angeli di Dio”.
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