
Il 2020 non è iniziato proprio nel migliore dei modi, ma oltre al Coronavirus e alla tensione USA-Iran, alcune vicende che stanno accadendo in questi giorni nel mondo sono in corso già da molto tempo.
È il caso dei profughi siriani ai confini con la Grecia che vengono barbaramente respinti dalla polizia greca con l’aiuto dei militanti nazionalisti di Alba Dorata. Ma è anche il caso degli scontri che stanno infiammando l’India, soprattutto nella capitale New Delhi, tra induisti e musulmani. O, per meglio dire, tra la polizia del governo nazionalista induista e la minoranza musulmana appoggiata da una parte della società civile. Le rivolte in atto oggi sono dovute a due cause principali: la revoca dell’autonomia al Kashmir e l’emendamento alla legge sulla cittadinanza. Due gravi misure che si sono andate ad inserire in un contesto storico e culturale che da sempre vede scontri ed incomprensioni tra la comunità induista e quella musulmana.
Le tensioni nel paese sono iniziate ad agosto 2019, quando il governo indiano guidato dal leader del partito nazionalista induista Narendra Modi ha unilateralmente revocato l’articolo 370 della Costituzione. La norma costituzionale garantiva al Jammu e Kashmir, uno stato a maggioranza musulmana, un’autonomia all’interno dell’India, pur lasciando al governo centrale competenze come la politica estera e la difesa. Autonomia, però, che è stata sostanzialmente minata negli ultimi anni a causa della presenza delle forze indiane di sicurezza sul territorio e delle limitazioni della libertà personale subite da molti kashmiri. La situazione è peggiorata per via del blocco della rete internet ordinato dal governo indiano dal giorno in cui sono scoppiate le rivolte, e non ancora ripristinato.
Il casus belli, però, è stata la nuova legge sulla cittadinanza emanata l’11 dicembre del 2019. La misura adottata dal governo prevede la semplificazione delle procedure per ottenere la cittadinanza per i profughi provenienti da Bangladesh e Pakistan, ad esclusione di quelli di fede musulmana. La discriminazione ai danni della popolazione musulmana è parte dell’attuazione del più vasto programma del governo nazionalista induista di Narendra Modi, e segna un vero e proprio attacco alla costituzione. Il testo costituzionale è stato scritto tra il 1946 e il 1949 e la laicità ne rappresenta un principio fondante. Difatti, nel testo è chiaro l’intento di non voler far dipendere la cittadinanza dalla religione. La legge in parola, però, non è l’unica misura discriminatoria varata dal governo. A questa si accompagnano l’istituzione di un registro nazionale dei cittadini e il registro nazionale della popolazione, che insieme hanno come scopo quello di definire chi può dirsi indiano e chi no. Ed è proprio questa prospettiva ad aver spinto le persone a scendere in strada e manifestare: l’idea dell’istituzione di una sorta di censimento ha fatto venire il sospetto a molti musulmani di poter rischiare, in futuro, di diventare apolidi o di essere dichiarati illegali. La brutalità del governo di Modi, con un ministro che invita i manifestanti induisti a “sparare contro i traditori della nazione”, ha allarmato anche i cittadini non musulmani, che di conseguenza hanno preso parte alle contestazioni.
Da dicembre i disordini sono divampati in gran parte dell’India, ma da gennaio sono iniziati anche nella capitale New Delhi, soprattutto nella Jawaharlal Nehru University (JNU), dove un gruppo di militanti di Akhil bharatiya vidya parishad (Abvp) ha fatto irruzione e ha picchiato gli studenti musulmani e quelli di sinistra, distruggendo fra l’altro i loro dormitori. L’attacco vandalico, e le violenze che ne sono scaturite, sono avvenute sotto gli occhi della polizia che ha preferito non intervenire. L’Abvp è un’associazione studentesca di stampo nazionalista induista che fa parte di un’altra associazione ancora più grande: la Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS). L’RSS è un’associazione paramilitare di volontari fortemente nazionalista e suprematista, nata nel 1925 sullo stampo delle camicie nere di Mussolini. I fondatori vollero prendere a modello l’esperienza italiana non solo nell’organizzazione, nello stile e nel metodo, ma anche nell’ideologia. Secondo l’organizzazione invero, essere indiano significa necessariamente essere induista, e coloro che appartengono alle minoranze dovrebbero professare i loro culti in privato. Questa ideologia nazionalista su base religiosa, come tutte le dottrine discriminatorie, non poteva non portare ad ostilità e quindi a violenze.
E questo è lo scenario di tensioni che si profila oggi in India: le violenze ai danni della minoranza musulmana (180 milioni di persone) sono di una ferocia sconcertante. Quello che più mi impressiona, purtroppo senza eccessivo stupore, è il comportamento tenuto dalla polizia nelle rivolte. Nello stato dell’Uttar Pradesh, nelle scorse settimane, molti poliziotti sono arrivati a distruggere ed incendiare abitazioni e attività commerciali gestite da musulmani; molte persone arrestate sono state picchiate; ad altre è stato imposto di cantare l’inno nazionale; nella maggior parte dei casi membri delle forze di polizia hanno incitato i picchiatori. Come riporta la BBC i morti sono 52 e i feriti centinaia. Questa condotta tuttavia non stupisce: la maggioranza dei membri delle forze dell’ordine è induista e sostiene il governo di Narendra Modi.
Quello indiano è un altro esempio che ci dimostra come decenni di pace possono essere spazzati via in poco tempo quando il dibattito politico viene avvelenato grazie a mezzi di comunicazione indottrinati e social network invasi da troll che non fanno altro che diffondere fake-news. E che testimonia inoltre come chi è assetato di potere, per mantenerlo cerca di dividere il popolo adottando politiche discriminatorie e aiutato dalla martellante diffusione di falsità.
Leggendo quello che sta accadendo oggi in India non ho potuto non pensare alla capacità dell’essere umano di identificare il diverso come capro espiatorio. La capacità di discriminare qualcuno sulla base dell’etnia, della religione, del sesso e dell’orientamento sessuale; di accollare ad una minoranza le colpe di tutti i mali. Ieri erano gli ebrei, oggi sono i migranti o i musulmani, come nel caso che ho trattato. La storia torna a ripetersi, ancora una volta purtroppo, nei suoi accadimenti peggiori.