Si intitola “Franco Toro” (Castelvecchi Editore) il nuovo romanzo di Dario Neron, autore 33enne di Locarno, manovale della scrittura moderna, come ama definirsi.

Ciao, Dario. Da dove nasce l’esigenza di scrivere “Franco Toro” e cosa lo differenzia dal tuo primo romanzo?

Più che un’esigenza è stata la voglia di tentare qualcosa di nuovo e completamente diverso dal primo romanzo. Ho voluto scrivere del mondo dei giovani, almeno in parte. Dr. Reset è stato un noir al cento per cento, Franco Toro è più difficile da descrivere in uno stile. Forse è stata anche l’esigenza di trovare il mio stile di scrittura personale, a far nascere Franco Toro.

Sarebbe giusto considerare il mestiere di Franco Toro, da callboy o gigolò, un tentativo di fuggire da una realtà che ci vuole sempre più predominanti e prepotenti?

La meritocrazia ha molti effetti collaterali invisibili, di cui sappiamo ancora poco. Certamente ci spinge a un egoismo machiavellico e a non guardare in faccia a nessuno. Così come fa Franco. Dedicarsi esclusivamente ai piaceri e alle cose belle, credo che sì, sia un tentativo di fuggire dalla realtà, ma più che altro quella delle infinite responsabilità e pretese di una società, nella quale poi in verità non abbiamo voce in capitolo.

Narcisismo ed egocentrismo rischiano di diventare stereotipi che allontanano le nuove generazioni dalla riflessione e dall’autocritica?

Bellissima domanda. Siamo sempre più confrontati con una società schizofrenica, intrappolata nella dicotomia di quanto ci viene proposto e quanto viene permesso. Lo spacco è grande. Da un lato abbiamo un fronte dell’educazione che ci insegna a comunicare, ad aprirci sentimentalmente e applicarci nell’introspezione. Mentre da un altro lato, da quello mediatico e della cultura pop, siamo confrontati con la piattezza di valori che non vanno oltre la superficie delle cose. Di tutto viene fatto ironia. Sarcasmo e strafottenza sono le nuove frontiere del linguaggio, la sensazione di essere sempre soli contro tutti prevale sull’istinto di comunità. Il vittimismo viene scambiato per autocritica e allontana così dalla riflessione. Ma d’altronde, in una società benestante, sembra non essercene più bisogno. È una questione di fede.

L’amicizia tra Franco ed Esse delinea tratti di un romanticismo scevro di promiscuità. Quanta influenza assume, a tuo parere, l’Amore nelle scelte esistenziali di ciascuno di noi?

Dipende di quale amore parliamo. Franco e Esse sono due giovani catturati nell’innamoramento feroce della gioventù. Lontani quindi dalla sobrietà (e, purtroppo, dalla razionalità) dell’amore adulto. Per Franco l’amore stesso è stato una scelta esistenziale. In generale oso azzardare la tesi che in molti abbiamo un’idea dell’amore sbagliata e ci troviamo quindi, presto o tardi, intrappolati in delle conseguenze esistenziali di scelte prese per quello che credevamo fosse amore, ma forse era soltanto la sottomissione al volere di qualcuno di più forte di noi.

Come mai hai deciso di distribuire “Franco Toro” sia nelle librerie che in digitale?

In tutta sincerità è stata una scelta dell’editore! Però è una scelta che condivido. Nonostante io sia più tradizionalista e quindi consumatore del cartaceo, reputo giusta la scelta di guardare al futuro, che presenta poche alternative al digitale. Spero però che prevalgano i lettori del cartaceo, fra chi mi legge. Su un libro fisico è più facile prendere appunti con i quali poi scannare l’autore.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.