…nelle mani dell’uomo tempestoso
Tanto rumore non lo si ascoltava da un po’ di tempo. Eppure non eravamo sordi per non averlo sentito, forse perché gli animi erano rimasti quieti e appagati da oltre 78 anni a questa parte, senza tanti dissidi? senza tanti “predoni”? Mentre oggi se ne stanno incarnando a piene schiere e quasi tutti col medesimo scopo, di renderci la vita impossibile.
Dio ci salvi dal pensier fecondo in cui appare un’apocalisse primitiva a ciò che Lui stesso ha stabilito. Forse Gli è scappato di mano lo scettro della vita? Oppure si è girato dall’altra parte, stanco e avvilito da tanta transumanza impazzita, quella delle Sue pecorelle che, più che smarrite, muovono verso “pascoli” di una sicura perdizione?
Voler congiungere, mettere in sensata relazione ciò che è bene con ciò che è male e ottenere così, un quadro d’impegno, per il quale si potesse in qualche modo studiarne il composto, alla maniera di una reazione chimica, sarebbe un azzardo madornale. Il bene va tenuto sempre distante dal male, con dovuta circospezione e accortezza necessaria, poiché, diversamente, n’uscirebbe zuppo, fradicio, alla pari di una spugna in un secchio di oleoso umore.
Inutile pensare di sanare un incline delinquente, mettendolo insieme agli altri con più temprata, maldestra scaltrezza: sarebbe come credere che il latte in polvere lo si ottiene spolverando le tette delle mucche e che quest’ultime siano fatte di gesso; sarebbe come mandarlo all’università del crimine per fargli conseguire un titolo da ostentare, una volta scontata la pena, sul campo.
Ahimè se è così! Sembra proprio un’esecrabile connessione di elementi e di aspetti sconcertanti; l’evolversi abominevole di imprudenze e di comportamenti contrastanti alle più elementari regole del buon senso, del quieto vivere.
Leggendo il libro di Massimiliano Smeriglio “Per quieto vivere” si palesa la necessità di una quiete tenuta a bada, sospesa e quasi irraggiungibile, irrealizzabile, a causa di uno spudorato, radicato mantenimento di acerbo rancore, per una situazione, oramai da perdonare e dimenticare.
Catalogare ossessivamente le bassezze della vita, dovrebbe servire solo per non più commetterle o viverle: non certo per mantenere acceso un lugubre cero, d’eterna, inutile e, dannosa ostilità. Dannosa per sé, più che per gli altri!
Una quiete tra le righe, direi. L’accetterei, ma senza scindere dalle mie responsabilità per realizzarla; L’accetterei senza venirne a patti con chicchessia, con dei compromessi e surrogati accomodamenti da svilire, deprezzare, paradossalmente, ogni raggiungimento di gravosa, immeritata, instabile, apparente tranquillità. Dopotutto, per restar tranquilli, non ci occorre pensar di vivere da asceta in un eremo immaginario: un sito fatto di solitudine e di emarginazione, questo no! Ma almeno un buon meritato sonno, dopo una giornata di lavoro e di impegno sociale, lo si brama comunque. Sta di fatto che, non a tutti scende in senno il dono della sensibilità: quella del non disturbare il prossimo oltre le proprie “mura”. Se il buon messaggio arrivasse, sarebbe l’ideale da consolidare. Rimanere esente da qualsiasi forma di turbamento, sembra quasi impossibile, però. È la vita stessa che non va fraintesa con la morte, ch’è quiete assoluta, meritato riposo. Oggigiorno si discute con gli animi in subbuglio e la minestra servita, è per nulla sostanziale. Anzi sembra si offra come aperitivo, la mancanza di cibo, così, per molte persone. l’appetito resta, ma appeso in canna.
Come sarebbe la quiete se ognuno di noi non si limitasse a risolvere i propri, ma pure una parte dei problemi dei meno fortunati? Inutile parlarne, però, se gli animi navigano in malafede. Laddove manca l’iniziativa e la passione nell’agire, rimane il vuoto assoluto, l’inconsistente bolla d’aria.
Oh, quant’è piacevole vivere nella quiete; anche notarla levando il capo verso il cielo e mirare il cosmo stellato in una notte serena. Peccato che la tecnologia, da comoda com’era, man mano si sia fatta talmente esecrabile d’aver rotto la condizione del cielo senza nubi e l’abbia riempito di “uccelli” rapaci, di terrore, di morte. Il distensivo cinguettio dei piccoli volatili ce l’hanno sostituito coi nervosi, paurosi rombi di mostruosi aerei dalle mille sigle: uno più micidiale dell’altro.
Pure i mulini a vento hanno smesso di macinar grano e di portare acqua sorgiva agli affamati e agli assetati. I fiumi stessi si son “prosciugati” e sono rimasti in “secca”, smettendo il loro irrompere furioso verso valle, stanchi della loro collerica corsa a precipitarsi verso il mare. Sul greto? Solo ciottoli, ghiaia, rena: sassi inermi, in una forma riposante di esteriorità apparente, come rimangono gli animi assetati di amore, di quiete, di pace.
«Forse perché della fatal quiete / tu sei l’imago a me sì cara vieni / o sera!»
(Ugo Foscolo, Alla sera, 1803)
«Il vero amore è come una finestra illuminata in una notte buia. Il vero amore è una quiete accesa»
(Giuseppe Ungaretti, Sentimento del Tempo, 1933)