«Le soddisfazioni della ricchezza non risiedono nel semplice possesso o nelle spese folli, ma nell’usarla in modo saggio»

(Miguel de Cervantes)

L’inflazione nostrana è dovuta principalmente al fatto che noi, come popolo, non ci siamo mai abituati a maneggiar spiccioli: nei nostri comportamenti commerciali li leviamo sempre di mezzo con gli arrotondamenti al taglio inferiore e, in molti casi, a quello superiore. Una volta lo facevamo con la lira che, spesso, si arrotondava alle cinquecento o, addirittura alle mille lire…su o giù: sono sempre stati gli errori di casa nostra. Lo sono ancora purtroppo con l’euro, dove per via di “comodità”, non se ne fa abbastanza uso di centesimi. Si pensi un po’ alle molteplici transazioni e a quanto possa incidere, in termini d’inflazione, agendo in questo modo. Questa nostra inusuale, cattiva abitudine, ha persino “contagiato” coloro che vanno in giro a chiedere l’elemosina i quali non si accontentano più di sonanti monetine ma hanno adattato i loro lobi ai fruscii delle banconote, anche se di piccolo taglio, come nelle parrocchie del resto. Solo che in questo caso non è da declinare un obolo più consistente, visto le spese di gestione per mantenere una Parrocchia efficiente, prima che l’officiante ti mandi all’inferno… piuttosto che in paradiso…

Negli altri Paesi invece, se nel fare la spesa ti capita di aver messo nel carrello l’equivalente di dieci centesimi in più di quel che ti trovi nel porta-moneta, sarai costretto a rinunciare a qualche prodotto, previo blocco la fila degli acquirenti alla cassa, dove la cassiera è tassativa e ti chiede fino all’ultimo centesimo. È una cattiva abitudine, la nostra, quella di non far buon uso degli spiccioli. In economia la transazione, dopo averne stabilito le modalità di pagamento, va eseguita secondo la procedura: senza ma e senza forse…

Paperon dei Paperoni ci ha insegnati da bambini a mettere da parte una fetta di paghetta settimanale nel porcellino, aspettando il momento opportuno per “eviscerarlo” e farne buon uso. Con questo non si vuole che un bambino impari ad essere tirchio, ma solo previdente, responsabile della sua economia. Nei primi anni, post Seconda Guerra Mondiale, la paghetta che a qualcuno di noi ci arrivava era talmente modesta che pure il porcellino di creta sembrava dimagrire di giorno in giorno. Era il nostro oculato conteggio mentale di ciò che si aveva inserito a produrne gli effetti così “disastrosi” ma pur sempre motivo di orgoglio per quella forma innocente di economia infantile.

Non volendo restare ancorato al passato per ragioni di “modernità” e chiudere l’argomento come cosa che non ci riguarda più, rimarrebbe sempre il punto interrogativo sul debito Italia. Un perché sull’immane passivo che l’Italia ha incominciato a contrarre negli anni Settanta con alcuni periodi di recessioni e crisi petrolifere; poi negli anni Ottanta con il “divorzio” tra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia; poi negli anni Novanta col sussulto che lo fece schizzare oltre il 120% del PIL, con il Trattato di Maastricht, che stabiliva che lo si doveva mantenere sotto il 60%.

Il debito, dai massimi del 1994 si era, poi, ridotto fino ad attestarsi sotto il 100% del PIL. Oggi, il carico pendente è a circa il 95%, ma con questo maledetto conflitto in Europa e l’inflazione che ha ripreso a galoppare chissà dove andremo a parare.

Ma non si bada a spese. Come dire? Si scialacqua ancora, tanto che, senza averne contro, pure gli animali da compagnia non hanno di che lamentarsi. Ma se da una parte vi è un certo appagamento, dall’altra è un susseguirsi di richiesta aiuti per cui fa pensare che: abbiamo “sistemato” cani e gatti ma ci resta di farlo ancora con chi non ha nulla da mangiare.

Che siano le guerre a poter risolvere il problema? Meglio non fare affidamento su queste soluzioni: né che si confermino come sistema provvisorio né che si pensi di assumerle come pragmatica filosofia. Purtroppo pare che ci siamo già incamminati su questi percorsi, visto lo sperperare che si fa di ingenti capitali per uccidere la gente e demolire tutto ciò che ha, con sudore, edificato, piuttosto che spenderli in cibo per chi ne fa di bisogno e muore di fame.

Quando le nostre mani le adoperiamo in modo sbagliato si nota bene e in modo vergognoso la dissonanza, lo sfasamento tra le due, dove viene a mancare quel “via vai” del “dare e ricevere”: dell’una che dà e dell’altra che riceve. Non che il tutto porti il “natante” su una rotta unica e noi sul molo, aspettandolo come “ulteriore” provvidenza.

Del debito pubblico se ne può parlare fin che si vuole, ma i canali che portano alla motivazione per risolverli, rimangono sempre gli stessi. Finora gli argomenti restano discussi in modo surrettizio, aleatorio, come si farebbe a contare le stelle nel firmamento o i litri dell’acqua contenuti negli Oceani.

Giacché non siamo più al baratto pratico ed esiste un mezzo che abbiamo chiamato “Moneta” per affrontare i momenti di spese e di guadagni, è importante che, di questo mezzo, se ne faccia giusto ed equilibrato uso. Di certo non è la guerra a risolvere i problemi economici, ma li aggrava. Nemmeno risolve i “furti” perpetrati in casa propria, quando si usano “lestofanti mani” comandate da menti affrettate e superficiali…


FonteFoto di micheile dot com su Unsplash
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Salvatore Memeo è nato a San Ferdinando di Puglia nel 1938. Si è diplomato in ragioneria, ma non ha mai praticato la professione. Ha scritto articoli di attualità su diversi giornali, sia in Italia che in Germania. Come poeta ha scritto e pubblicato tre libri con Levante Editori: La Bolgia, Il vento e la spiga, L’epilogo. A due mani, con un sacerdote di Bisceglie, don Francesco Dell’Orco, ha scritto due volumi: 366 Giorni con il Venerabile don Pasquale Uva (ed. Rotas) e Per conoscere Gesù e crescere nel discepolato (ed. La Nuova Mezzina). Su questi due ultimi libri ha curato solo la parte della poesia. Come scrittore ha pronto per la stampa diversi scritti tra i quali, due libri di novelle: Con gli occhi del senno e Non sperando il meglio… È stato Chef e Ristoratore in diversi Stati europei. Attualmente è in pensione e vive a San Ferdinando di Puglia.