Scoprire un autore del nostro Sud che ha dato voce ai ‘c’è’
La poesia, come ogni altra manifestazione umana, è un continuo interrogare la realtà e le sue rugosità, è un modo per viverla sino in fondo e per farne uscire fuori con la parola le diverse sfumature, che a volte sembrano sfuggire pure ad una mente attenta ai singoli particolari; si segnalano in tal senso le due raccolte poetiche di un giovane salentino, scomparso prematuramente, Cosimo Russo (1972-2017) Per poco tempo e Ancora una volta, edite da Manni Editore nel 2017 e nel 2019, oggi al centro di vari studi critici anche grazie allo sforzo della madre Luigina Paradiso che ne ha decifrato e trascritto alcuni dei numerosi fogli e manoscritti. Queste due prime raccolte ci offrono già un organico percorso poetico degno di essere conosciuto e di valutarne la statura; e questo si può fare tenendo presente le ricche suggestioni letterarie provenienti dalle diverse letture di poeti e scrittori come Rimbaud, Calvino, Broch, Breton, Camus, Eliot, De Nerval, Leopardi, Lorca, Montale, Pavese, Proust, Roth, Saba, Ungaretti, Mann e altri che, ben metabolizzati sul piano dei contenuti e soprattutto a livello stilistico, hanno permesso a Cosimo Russo di crearsi un suo linguaggio in grado di esprimere con estrema essenzialità lo sguardo sul mondo, interrogato in ogni microscopica manifestazione dallo scorrere delle giornate alle titubanze nelle scelte di vita.
Ogni singola poesia dalla prima all’ultima è il risultato dello stupore con cui Cosimo Russo ha guardato il reale sia esso oggetto naturale come ad esempio il mare o la luna, sia esso un sentimento nascosto nelle pieghe dell’animo umano; ogni verso è il risultato di un non comune lavoro sulla parola ed un continuo affidarsi ad essa, a cui è delegato il compito di trasformare in una intensa immagine poetica il particolare, un singolo evento, come un’onda del mare e il cinguettio di un uccello, o un momentaneo ripiegamento su se stesso. L’originalità di un poeta sta nella capacità di assegnare alla parola qualcosa di più che si porta dietro rispetto all’oggetto; e Cosimo Russo si segnala continuamente per questo surplus che è in grado di fare emergere in ogni singola poesia dove il lettore viene coinvolto nel portarsi fuori dall’esistenza diffusa della vita quotidiana e indirizzato verso qualcosa che è al di là delle proprie peripezie esistenziali. Così gli stessi titoli delle due raccolte sono il risultato della certezza di aver colto qualcosa di essenziale, di aver vissuto un determinato spazio-tempo incommensurabile con l’oggetto ed il particolare originali grazie al suo portato di una nuova esperienza dove la parola trova la stessa ragion d’essere; e la poesia di Cosimo Russo la si può situare sulla scia di quello che diceva l’amato Thomas Eliot a proposito dei ‘poeti metafisici’: “quando la mente di un poeta è perfettamente equipaggiata per la sua opera, amalgama continuamente esperienze disparate. Nella mente del poeta queste esperienze formano sempre nuove totalità”.
In tal modo il significato di ogni poesia di Cosimo Russo nasce e si sviluppa con le sue parole dove ogni singolo elemento è l’immagine di una nuova esperienza, di una ‘nuova totalità’, dove la metafora gioca un ruolo insostituibile per la sua capacità di costruire dei ponti tra elementi incompatibili e di comparare due oggetti i più lontani possibili, che poi, come diceva Breton l’altro grande poeta tenuto presente, è “l’aspirazione più alta della poesia” . Così seguendo tale logica scorrono le due sillogi che contengono poesie che pur scritte in diversi momenti, vengono a costituire un unicum da cogliere insieme in quanto c’è un filo rosso che le unisce e rappresentato da una totale adesione ai vari momenti esistenziali vissuti nella consapevolezza di essere unici e irripetibili e portatori di un granello di vita. Ma è nella parola che trovano la loro unità le diverse poesie che sono state tenute nascoste dallo sguardo di altri, “custodite nello scrigno del non detto, prigioniere della gabbia amorevole del cuore, nutrite di silenzi”, con la consapevolezza che “siamo figli di Ulisse” perché “crediamo alle cose per quanto sono lontane; più sono lontane e più le carichiamo di noi stessi”.
Ma è la consapevolezza della rugosità del reale che pervade il percorso poetico di Cosimo Russo che a volte sembra non fidarsi di ciò che egli stesso ha affidato alla parola; il dubbio sulla parola a volte sembra tormentarlo: “ho piegato le parole. Ho ceduto all’istanza del non senso. Ho finito per credere all’immaginazione; come ordine di porsi, di confinare le cose del reale”. Col dubbio che ogni creazione poetica possa tramutarsi in inganno, c’è l’esigenza di porsi al servizio della realtà: “dietro questi ulivi che c’è. Dietro questi fichi che c’è. Dietro questi aranceti rossi come stelle cadenti che c’è”, c’è qualcosa di irriducibile ai nostri desiderata e allora “ditemi le loro sillabe e le scriverò nel taccuino della mia anima”. Nei versi di Cosimo Russo sembra che la realtà e la verità lo interroghino come poeta lasciandogli dei segni indelebili; però nelle sue poesie è la parola che raggiunge tale capacità che porta poi il lettore nel leggerle a ritrovarsi in esse, a condividerle come ‘nuova totalità’ con tutto il loro pieno di ulteriori significati da scovare e da vivere.
Così è da scoprire tale autore del nostro Sud e del Salento in particolare che ha dato voce ai loro ‘c’è’ e nello stesso tempo in grado di viverli come stati d’animo, di imprimerli come ‘taccuini’ nel nostro vissuto e, attraverso il potere creativo della parola, di renderli universali come emblemi della condizione umana.