
La liberazione di Kherson potrebbe segnare un passaggio importante nel conflitto. Zelensky l’ha capito e cerca di imporre le sue condizioni per la pace.
La liberazione di Kherson è stata festeggiata dagli abitanti della città che sono scesi per strada per manifestare la loro gioia, trattenendosi fino a notte inoltrata, nonostante l’assenza della corrente elettrica. Sembra essere uno snodo cruciale all’interno del conflitto che è in corso da febbraio e che evidenzia le difficoltà russe nel portare avanti una guerra che ha già causato molte perdite all’interno del suo esercito, circa 81000, più o meno lo stesso numero di quelle ucraine. La ripresa della città ha costretto il Ministero della Difesa russo ad annunciare il ritiro delle truppe dalla città e a posizionarle sulla sponda orientale del Dnepr.
La ritirata russa complica i piani di Mosca che, con l’occupazione della città, aveva un accesso diretto alla Crimea. Peskov ha ricordato che questi territori fanno parte della Federazione Russa e che “questo status è legalmente definito e fissato. Non ci sono e non possono esserci cambiamenti. E in ogni caso la situazione non è umiliante. Ma non vorremmo commentare né in un modo e né in un altro”.
Le dichiarazioni del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha condiviso la gioia con gli abitanti di Kherson, tendono invece a celebrare la vittoria e ad azzardare l’inizio della fine del conflitto: “siamo pronti per la pace, la pace in tutto il nostro Paese”, e ha aggiunto “sono convinto che questo sia il momento in cui la guerra distruttiva della Russia debba e possa essere fermata”.
Avendo chiarito il più delle volte che la pace si farà alle condizioni dell’Ucraina, Zelensky ha enunciato un decalogo di proposte durante i lavori del G20: 1. Radiazioni e sicurezza nucleare, 2. Sicurezza del cibo 3. Sicurezza energetica 4. Liberazione di prigionieri e deportati 5. Attuazione della Carta delle Nazioni Unite 6. Ritiro delle truppe russe e cessazione delle ostilità 7. Giustizia 8. Ecocidio e tutela dell’ambiente 9. Prevenzione dell’escalation 10. Conferma della fine della guerra.
Concretamente, i dieci punti tengono in considerazione anzitutto un pericolo ecologico che potrebbe scaturire dalla gestione errata della centrale atomica di Zaporizhzhya, tenuta in “ostaggio” dalla Russia, a cui si potrebbe aggiungere l’ecocidio, i danni ecologici prodotti dalla guerra. Parlando di sicurezza alimentare Zelensky richiama l’attuazione degli accordi sull’esportazione del grano e quindi il nutrimento di milioni di persone; la Russia sta anche compromettendo la sicurezza energetica con il terrore e la minaccia del freddo per milioni di persone, allora necessario consentire la distribuzione dell’energia elettrica ai paesi confinanti. Interessante è il punto relativo alla Carta delle Nazioni Unite che all’articolo 2 comma 4, che Putin ha violato, ricorda:”I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”. Dovrebbe essere istituito un Tribunale speciale per i crimini compiuti dai russi nel territorio ucraino. La pace avrà luogo solo quando i russi si saranno ritirati e avranno lasciato l’Ucraina.
Quando saranno attuati questi punti, allora la fine della guerra sarà sancita da un documento di pace.
Per mesi la Russia ha ammesso di volersi sedere al tavolo per trattare, ma ha trovato la controparte contraria e poco disposta a considerare le condizioni proposte da Mosca. Quando Zelensky parla di inizio della fine della guerra forse sottovaluta una nuova possibile strategia da parte dell’esercito russo, che non va presa sottogamba come ha commentato il generale Surovikin: “Una parte delle forze sarà liberata una volta passato il Dnipro e potrà essere impiegata per attività differenti, comprese quelle di natura offensiva in altre zone dell’«Operazione militare speciale”. Inquietanti e pericolose, come sempre, sono state le parole di Medvedev, che ha tuonato: “Mosca continuerà a riprendersi i territori russi e per ovvie ragioni non ha ancora utilizzato tutto il suo arsenale di possibili armi di distruzione”.
Il quadro resta sempre più complicato: se da una parte la vittoria di Kherson potrebbe aprire uno spiraglio di pace, dall’altra non bisogna dimenticare che la Russia potrebbe cambiare strategia e dedicarsi ad altri obiettivi.
L’orso non è stato abbattuto, è ferito e la sua reazione potrebbe essere imprevedibile.
Un punto abbiamo tralasciato volutamente: la prevenzione dell’escalation. Zelensky afferma che una conferenza dovrebbe garantire per il futuro all’Ucraina un’architettura euro-atlantica in grado di assistere Kiev in caso di pericoli, un avvicinamento alla NATO dunque, che eviterebbe all’Ucraina quella zona grigia di cui parlava il presidente, tra Alleanza Atlantica e Imperialismo russo. Sembra difficile che la Russia possa accettare tale condizione, che da sempre osteggia e per la quale ha cominciato la sua “operazione speciale”, così come rassegnarsi agli altri punti a cui fa riferimento il presidente ucraino. La soluzione del conflitto non sarà assolutamente semplice e ai proclami trionfali di Kherson si contrappongono le diffidenze di Lavrov che dal G20 invita gli Occidentali a trattare su altre proposte, perché quelle di Zelensky sono irrealistiche.
Un missile intanto è caduto in Polonia, facendo due vittime e mettendo in allerta i Paesi NATO che hanno subito pensato allo scenario più terrificante: un attacco russo. Biden ha detto che molto probabilmente si tratterebbe di un razzo antiaereo ucraino. La dimostrazione che basta poco per tramutare un conflitto regionale in un’escalation mondiale.