
Nell’arsura di un meriggio pugliese,
l’aria raggiata, da un sole brutale,
ristagna, la natura e pur le imprese;
rompe la quiete un canto di cicale.
Il can sull’aia sonnecchia, disteso,
spossato, stanco, sotto un cielo acceso;
concorre poco il respiro alla vita:
la Dama, presente, la falce addita.
L’olivo pio con fier dominanza,
Natura regge, tra pena e baldanza.
Dei figli, i figli, testimone attento,
la linfa dona ad un lumino spento.
La sera, al vespro, dopo il solleone,
il can morente, diventa leone;
con l’aria fresca, senza più calura,
la spesa il geco coglie, sulle mura…
La gente siede fuor la porta accanto;
riprende ancor la vita per incanto;
la notte è breve e la campagna attende,
avanti al sol che dardi suoi protende.
Oh! Puglia mia, ho viaggiato tanto,
bisogno sento di restarti accanto.
Di tinte liete, antica, ma novella,
io sento e dico che sei tanto bella!
Dormir vorrei su tue screziate zolle:
trapunta dolce, materasso molle…
Sognare, per il resto della vita
qui, dentro la tua natura infinita.
Dal libro “La Bolgia”, poesie
Edito da Levante editori nel 2000