Il contributo di Dominique Pradelle
Le comuni analisi storico-culturali che si fanno sulle scienze e sulle matematiche in particolar modo ce le presentano come frutto di costruzioni di un percorso lineare ad opera di una ragione puramente calcolante o, a dirla con Simone Weil, di una ‘ragione paradisiaca’ esente da contraddizioni e piena di certezze; e tale punto di vista, se ha permesso lo sviluppo e l’uso di sofisticate tecnologie computazionali sempre più pervasive sino a creare una mentalità di tipo ‘babilonese’ con parole ancora weiliane e cioè tese ad evidenziarne solo l’aspetto pratico-applicativo, ha fatto perdere di vista il lungo ‘travaglio dei concetti’ ad esse sottostanti, come lo ha chiamato il matematico ed epistemologo italiano Federigo Enriques. Se prima ad esempio si diceva e, si continua ancora in parte a ripetere, ‘è matematico’, quindi oggettivo e senza la possibilità di affermare altro, oggi si ricorre all’espressione ‘l’ho trovato sul computer, l’ho fatto col computer’ col dimenticarsi di fatto che, dietro la storia di questo strumento, ci sono più di duemilacinquecento anni di vicende culturali, solo per limitarci al nostro Mediterraneo sulle cui sponde, dalla Grecia all’Anatolia e alla Magna Grecia, nacque la matematica come scienza nelle sue prime fondamentali articolazioni, geometria e aritmetica; questo particolare ‘evento di verità’, a dirla sempre con Simone Weil e adesso con parole di Alain Badiou, per liberarlo da quell’alone di mistero che l’ha sempre circondato e che ancora in parte lo avvolge, ha portato alla nascita della stessa filosofia con prima la teoria della conoscenza da parte di Platone e poi con lo sviluppo della logica con Aristotele proprio nel tentativo di capirne le ragioni e di darne una maggiore consistenza in termini di validità sino a coniare il termine ‘assioma’ che significa appunto ‘ciò che ha valore’, una volta trovato l’accordo sugli ‘elementi’ di base (Elementi di geometria di Euclide).
Tutto questo non è stato una conquista facile, ma è stato frutto di drammatici dibattiti e di continui ‘tormenti’, sempre per usare un’altra espressione ricorrente negli scritti di Simone Weil che nei suoi dialoghi col fratello André, uno dei protagonisti del gruppo di matematici riunitisi sotto il nome di Nicolas Bourbaki, si poneva con forza il perché del fatto che ‘con le matematiche non si può mentire sul reale’; in questa lunga e sofferta interrogazione sulla loro natura e sull’essere un continuo viaggio tra intuizione e rigore, a volte i confini tra quelli esistenziali e quelli concettuali non sono ben delimitati quando ad esempio i maggiori protagonisti, prima i greci e poi figure della modernità e del ‘900, si sono trovati ad affrontare questioni relativi all’infinito, agli irrazionali, al pi greco, al calcolo differenziale, alle geometrie non-euclidee, agli insiemi di Cantor, alla topologia, alla teoria dei gruppi, all’indecidibilità e alla non completezza, alla teoria delle categorie, al complesso universo di Grothendieck, alle nuove geometrie da quella frattale a quella non-commutativa e di Zilber, alla logica lineare, eventi quest’ultimi ancora poco analizzate sul terreno filosofico. Ma tutto ciò ha creato di fatto una ricca e non omogenea letteratura la cui conoscenza farebbe capire meglio che la matematica non è un ‘impero granitico’, monolitico a dirla con Hermann Weyl, ma un oceano dalle acque fluttuanti con una storicità intrinseca dove il gioco delle conoscenze certe si coniuga strettamente con quelle incerte.
Ma tali questioni, pur ricevendo nel tempo risposte che fanno parte integrante del nostro patrimonio conoscitivo, sono questioni aperte nel senso che continuano ad essere oggetto di continue analisi e di ulteriori tormenti, come ad esempio nel caso di Albert Einstein che, prima di morire, si poneva ancora il problema del ‘mistero delle matematiche’ lasciandolo in eredità alle future generazioni: come mai esse, pur frutto dell’immaginazione umana e cioè di una mente finita, come ad esempio il pi greco, lo spazio curvo di Riemann o il tensore di Levi-Civita e Ricci-Curbastro, trovano corrispondenza in determinate realtà che poi permettono di conoscere in profondità. O ancora è il caso di Alexandre Grothendieck, definito l’Einstein della matematica del XX secolo, che ci ha lasciato delle pagine piene di passione e di tormenti, fondamentali per comprendere meglio i processi di creatività e di immaginazione tipici della logica della scoperta matematica; anche in Italia prima Federigo Enriques ha sperimentato in prima persona questo aspetto con parlare di vera e propria ‘poesia matematica’, imperniata sullo stretto rapporto tra intuizione e rigore, e poi Ennio De Giorgi che ha convissuto in pieno con l’idea che la ‘matematica ha la capacità unica tra tutte le scienze di passare dall’osservazione delle cose visibili all’immaginazione delle cose invisibili’.
Questi problemi ancora aperti hanno costituito nei secoli l’oggetto primario delle teorie della conoscenza e, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento con l’avvento delle geometrie non-euclidee e della logica matematica, si è sviluppata la filosofia della matematica a cui hanno dato molteplici contributi matematici, logici e filosofi con diversi orientamenti di pensiero; in Francia è venuta a costituirsi un filone quasi unico ma poco noto, chiamato significativamente philosophie mathématique, che ha trovato prima nelle stagioni cartesiana e poi illuministica i primi prodromi per poi svilupparsi in un vero e proprio stile di pensiero con particolari obiettivi e metodologie di orientamento storico-concettuale con l’obiettivo primario di capire la natura della matematica come conoscenza tout court. A fianco di figure del primo Novecento come Léon Brunschvicg, Maximilien Winter, Gaston Bachelard, Jean Cavaillès e Albert Lautman e poi di altre della seconda metà del secolo come Jean Desanti e Gilles Châtelet, insieme in questi ultimi tempi con Jean Petitot Hourya Benis-Sinaceur, Frédéric Patras e René Guitart, è da annoverare Dominique Pradelle che, sulla scia dei lavori di Cavaillès e Desanti, si è contraddistinto nell’avere avuto un non comune e tormentato incontro-scontro con la fenomenologia di Edmund Husserl col dirigere gli stessi ‘Archives Husserl’ di Parigi; dopo i primi lavori dedicati alla questione della formazione da parte del soggetto trascendentale dell’apparato categoriale come L’archéologie du monde del 2000, Par-déla la révolution. Sujet transcendantal et facultés chez Kant et Husserl del 2012 e Généalogie de la raison. Essai sur l’historicité du sujet transcendantal de Kant à Husserl del 2013, è apparso un poderoso volume Intuition et idéalités. Phénoménologie des objets mathématiques (Paris, P.U.F. 2020). Ricco di diverse parti, al centro di tale lavoro vi è la vexata quaestio di cosa siano gli enti matematici e le modalità con le quali essi vengono acquisiti, questione che da Platone, Cartesio e Leibniz a Cantor, Frege, Hilbert, Enriques, Russell e Gödel è stata affrontata per capire innanzitutto il ‘senso’ del pensiero matematico che nei secoli ha subito diverse significative trasformazioni sino a incidere sulle strutture di fondo della razionalità umana con tutto il suo pieno di storicità.
Non a caso Pradelle, dopo aver metabolizzato il pensiero hussserliano nelle sue diverse articolazioni a partire dal centrale tema assegnato alle diverse forme di intuizione attraverso la mediazione delle importanti indicazioni fornite in tal senso dallo stesso tormentato rapporto avuto da Cavaillès e Desanti, mette al centro del suo lavoro la questione del ‘senso’ stesso dell’eidos matematico, col chiedersi ‘quali atti di pensiero sono necessari per elaborare una teoria’, coll’approdare alla storicità intrinseca degli enti matematici che non vivono sub specie aeternitatis; tale approccio fenomenologico gli permette di fare il punto su quella che chiama ‘psicologia della coscienza matematica’ ricca di continue tensioni che garantiscono il fatto che ‘in ogni passaggio (ad es. il passaggio dalla geometria euclidea a quelle non-euclidee) si trasforma l’idea direttrice della finalità del lavoro matematico’. In tal modo l’eidos matematico non ha una struttura atemporale e antistorica, presenta una sua intrinseca teleologia nel tendere sempre verso un doppio binario, ‘un doppio piano dei significati e degli oggetti matematici’; in esso vige quello che Pradelle sulla scia di Husserl chiama ‘riempimento categoriale’ che da un lato permette al pensiero matematico di costituirsi come un modo specifico di dare, come diceva Simone Weil, un corredo di significati al reale e per il reale e dall’altro al suo interno di ‘inglobare le possibili procedure di analisi, di fondazione e di validazione del senso’.
Questo lavoro di Pradelle, con lo sfruttare le potenzialità euristiche presenti nel percorso husserliano coniugato con alcune istanze dell’epistemologia francese del ‘900, arriva ad elaborare una non comune strategia teoretica che supera le aporie di molta letteratura oscillante nella dicotomia realismo/idealismo senza cadere in una visione pragmatista della matematica e della stessa razionalità; ed in tale contesto viene a giocare un ruolo decisivo tale nuova e promettente idea di ‘riempimento categoriale’, ritenuto presente nell’intero corpus delle matematiche e che poi è una dinamica della mente umana stessa come alcune recenti ricerche neurologiche sembrano confermare nel senso che ogni evento che avviene nel nostro cervello è un precipitato di processi sintattici e semantici insieme (si pensi alle ricerche del premio Nobel Gerarld Edelman). Esso consiste nell’essere ‘un’esigenza di riempimento (di validazione) del senso’ e tale riempimento non è dovuto al ‘soggetto in funzione dei suoi interessi’, ma è ‘espressione di esigenze universali con procedure valide per chiunque’; in tal modo, come diceva Simone Weil, il reale con le sue logiche intrinseche non è in balìa dei capricci dell’immaginazione del soggetto che vive però una ‘continua tensione tra senso e sua validità’, un tormentato rapporto tra verità e menzogna; in tale continuo percorso che trova nelle matematiche un suo specifico humus di coltura per Pradelle si mettono in moto ‘una pluralità di modi di riempimento degli oggetti categoriali’, col dare all’eidos o intelletto matematico una ‘plasticità storica’, una ‘storicità sui generis’ che gli permette l’acquisizione di sempre maggiore senso e soprattutto ‘l’emergenza di un senso nuovo’ che porta al problema dell’origine del senso stesso. Più chiavi ermeneutiche e procedurali si forniscono per rendere valide le ‘idealità matematiche’, più torna con altri tormenti l’origine del senso e del loro specifico modo di dare senso.
Così il regno delle matematiche non è quel porto sicuro, come comunemente si pensa, ma un regno instabile dove si agitano diverse acque ed in tal modo è lo specchio fedele del mondo di Musil dove occorre convivere con la presa d’atto della diversità dei punti di vista e senza certezze ma con tutto il loro carico di particolari significati che vanno praticati e validati nel senso proposto da Dominique Pradelle che non può non terminare il suo percorso senza affrontare il tema dell’infinito, croce e delizia della storia del pensiero matematico e con esso della ragione umana, colla secolare e cruciale domanda se ‘la finitudine del soggetto può impedirgli di accedere all’infinito attuale’. E vogliamo terminare ancora una volta con Simone Weil che, grazie al suo modo particolare di immergersi nel ‘tessuto vivente’ delle matematiche come di altre esperienze, ha vissuto tale problema come un tormento insieme concettuale ed esistenziale, ritenendolo quasi un compagno di viaggio e condizione strutturale dell’uomo nel peregrinare verso il senso della vita e dove si gioca il suo stesso destino razionale: “l’opposizione limite-illimitato racchiude tutte le teorie della conoscenza. La verità matematica… [ha a che fare con] Logoi alogoi. Scandalo, assurdità”; ma ella ci invita a non dimenticare che “il rigore dimostrativo sta alla scienza come la pietra sta alla scultura”.