“…gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce.”
(Vangelo di Giovanni)
Forse si meraviglierà il lettore leggendo la citazione proposta in questa settimana: una citazione che proviene dal mondo cristiano, in particolare dal prologo del vangelo di Giovanni, e non da filosofi, pensatori antichi e contemporanei.
La nostra non è ovviamente una riflessione biblica ed esegetica sulla luce, bensì una riflessione culturale, che prende in prestito dal “codice della cultura occidentale” – così come è stata definita la Bibbia – un’immagine all’uomo tanto cara e da lui tanto amata.
È inutile ricordare – perché è sotto l’evidenza di tutti – che nel mondo contemporaneo la presenza e la tragicità del deserto tenebroso avvolge la collettività e ciascuno uomo.
L’uomo, che tanto è attratto dalla bellezza della luce, si accontenta di scegliere ripetutamente le tenebre e le sue opere, rimanendo sempre insoddisfatto.
Per fortuna, riconosciamo che ci sono molti uomini che nel silenzio sono portatori di luce.
L’invito è quello di soffermarsi a riflettere sul rapporto che c’è tra i colori e la luce, sulla scia di un testo inedito di Jean Guitton, intitolato “Filosofia del colore”.
Egli dà tre definizioni del colore: 1. Il colore è splendore della luce: cioè il colore che è molteplice, evanescente ed iridescente permette di intravedere in maniera puntiforme la luce che non è possibile in maniera criteriante; 2. Il colore è rivelazione dell’intimità: si pensi al tramonto che con i suoi colori permette di vedere l’intimità dell’essere e dell’essenza; 3. Il colore è anticipazione della gloria: infatti – continua Guitton – mentre il colore rappresenta la gloria, la luce rappresenta la grazia e la risurrezione, attingendo qui dal mondo cristiano.
I colori, quindi, danno la possibilità di vedere parte di quella luce che va incontro all’uomo appena è tratto dal grembo materno, per dirla con Bonaventura da Bagnoregio.
Pensiamo anche alla centralità dell’immagine della luce data da Platone nel mito della caverna o dallo stesso Dante Alighieri nella “Divina Commedia”.
Romano Guardini nei sui “Studi su Dante” scrive che anche nell’inferno, nella selva oscura e lì dove anche il sole tace, è presente una piccola luce, che è la luce del bene creaturale e ontologico presente nell’uomo, malgrado il suo rapporto con il peccato. Quella luce che via via diviene sempre più forte, fino a toccare il suo culmine nell’Empireo, luogo-non luogo della presenza di Dio, e nel vedere Dio “facie ad faciem”, faccia a faccia. Si passa così da una luce fisica a una luce della mente e del cuore e, infine, alla luce della grazia, che per Dante è Dio.
Platone così si esprimeva: “Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio, ma la vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce”.