La festa della Liberazione, il giorno più bello

È il giorno della festa più bella del calendario. Una festa laica. La festa della Liberazione. La festa di tutti. Il 25 aprile è la festa di tutti noi italiani che viviamo oggi nel 2020 in una Repubblica democratica, ma soprattutto è la festa di chi le libertà e i diritti di cui godiamo oggi se li è guadagnati col sangue, 75 anni fa. Festeggiare dovrebbe essere un dovere civico e un’occasione per ricordarci quali sono i valori dello Stato in cui viviamo. Ciononostante, ogni anno si creano molte polemiche intorno a questa importante ricorrenza. Molti politici e giornalisti di destra e neofascisti dicono di non voler festeggiare, perché a loro avviso si tratta di una festività “divisiva”. Molti di questi sono parlamentari e sono stati ministri. Hanno giurato sulla Costituzione, documento antifascista, eppure sono nostalgici di un passato oscuro, e i loro valori – se così si può dire – sono molto simili a quelli di chi ha fatto vivere all’Italia venti anni di dittatura.

Tuttavia, chi afferma che il 25 aprile sia divisivo non ha tutti i torti. Difatti, questa data segna uno spartiacque tra un prima e un dopo. Tra una dittatura e una Repubblica. Tra chi è antifascista, e quindi un patriota, e chi è fascista, e di conseguenza contrario ai valori su cui è nata la Repubblica in cui viviamo.

Oggi non dovrebbero esserci dubbi sul significato e sul valore della Liberazione e della Resistenza, ma sfortunatamente non è così. E allora è bene non dimenticare che se oggi siamo liberi di votare, di organizzarci in partiti e in sindacati, di riunirci, di esprimere liberamente il nostro pensiero, di professare una fede religiosa diversa da quella cristiana, o di non professarne alcuna, e in generale di vivere una vita libera è grazie ai partigiani e alla Resistenza.

Storicamente la Resistenza al fascismo nasce a seguito del delitto Matteotti, quando i partiti antifascisti denunciarono l’impossibilità di riconoscere un governo che si serviva della sopraffazione e della violenza per soffocare la voce dell’opposizione. Diventa poi Resistenza armata dal ‘43 al ’45: anno in cui termina, a seguito della sconfitta dei nazifascisti.

I partigiani che presero parte alla lotta armata furono, per la maggior parte, ragazzi e ragazze giovanissimi. Erano giovani stanchi di vivere in un regime oppressivo, e avevano un sogno: liberare l’Italia. Questo li ha spinti a rischiare, e in molti casi a perdere, la vita. Non vi era una remunerazione o la garanzia che l’obiettivo sarebbe stato raggiunto. C’erano la miseria, il freddo, la tortura, lo stupro, il rischio di mettere in pericolo le proprie famiglie. La morte. I nazifascisti non facevano sconti a nessuno. Se i partigiani uccidevano uno di loro, questi ne uccidevano due di partigiani. Per semplice vendetta. Uccidevano anche donne e bambini. Molte esecuzioni erano esemplari e venivano compiute sotto gli occhi di tutti, con l’obiettivo di disincentivare l’opposizione politica e la partecipazione alla lotta partigiana. Come scrive Renata Viganò nell’Agnese va a morire: «L’Agnese […] prima riuscì a stento per la distanza, a compitare la parola in grande sul cartello dell’impiccato. C’era scritto “partigiano”». I fascisti li aiutavano. Aiutavano i tedeschi ad uccidere, torturare e perseguitare altri italiani. «I fascisti avevano fatto venire in Italia i tedeschi, avevano scelto per amici i più cattivi del mondo», continua la Viganò.

A chi dice che il 25 aprile è divisivo va ricordato che la Resistenza ha avuto un grande merito, tra gli altri: aver unito gli Italiani. Come scrive Ada Gobetti in Diario partigiano: «mai forse prima d’ora c’è stata in Italia simile unità». Dopo venti anni di divisioni gli italiani si erano uniti, senza distinzione di classi sociali, per combattere il fascismo. Gli operai e i contadini hanno avuto un ruolo di primo piano nell’inizio e nello svolgimento della Resistenza armata. I primi diedero vita agli scioperi operai (vietati dal fascismo) del marzo e del novembre del 1943, rompendo così definitivamente il consenso che il regime si era costruito in venti anni; i secondi hanno aiutato i partigiani, gli alleati e coloro che scappavano dai campi di sterminio a nascondersi nelle campagne.

Le divisioni, però, sono nate immediatamente dopo la fine della guerra. Sin da subito si è diffusa una certa ostilità tra Italiani nei confronti della Resistenza. Difatti, molti sostengono ancora oggi che i partigiani hanno compiuto dei crimini e per questo motivo non bisogna festeggiare il 25 aprile. A questi bisogna rispondere che la Resistenza era una guerra civile, e che in guerra tutti compiono dei crimini. Anche i buoni. Altri invece sono dell’idea che non serviva avviare una resistenza armata per liberare l’Italia, perché c’erano già gli Alleati. A questi ultimi bisogna replicare che sì, è vero gli Alleati ci hanno aiutato, ma erano militari stranieri mandati lì dai loro governi per vincere gli italiani. Per gli Alleati noi eravamo stati il nemico, e il nemico andava sottomesso. La Resistenza, al contrario, era un movimento italiano, nato sui valori del Risorgimento che aveva unito l’Italia. I partigiani erano persone comuni, molti dei quali iscritti a partiti politici dell’opposizione, che per anni erano stati costretti alla clandestinità. Erano liberali, repubblicani, monarchici, socialisti, comunisti e democristiani. Erano Italiani. La lotta partigiana ci ha permesso di essere liberi fin da subito, in modo tale da non essere trattati solamente come nemici vinti in sede di ratifica dei trattati di pace. La Resistenza ha riscattato l’immagine degli Italiani all’estero, e questo è un dato di fatto.

Quello che manca oggi agli Italiani è proprio il senso di unità di cui parla la Gobetti, quell’unità dietro al valore dell’antifascismo, che ci ha dato la libertà. In un momento storico come questo in cui nessuno si salva da solo, e la salute del singolo è necessaria per la salute della collettività, le divisioni non hanno alcun senso. La politica degli ultimi anni ci ha voluto divisi. I sovranisti e i nazionalisti di oggi (così come i fascisti di ieri che distinguevano italiani e antifascisti, come a dire che eri italiano solo se eri fascista) hanno diviso i cittadini in due categorie: i veri italiani e i buonisti. I primi sono dei patrioti, mentre i secondi sono i nemici della patria. L’infondatezza di questo assunto è dimostrata da quello che stiamo vivendo: il coronavirus ci ha svelato quanto noi oggi viviamo in un mondo globalizzato, e quello che succede in Cina o in Africa riguarda anche noi che viviamo in Europa. Ci ha dimostrato, inoltre, la falsità e la pericolosità delle politiche sovraniste e nazionaliste. Usciremo da questa situazione allo stesso modo in cui siamo usciti dalla seconda guerra mondiale: insieme e uniti. Pertanto, sarà necessario riscoprire i valori di unità e libertà che hanno unito questo paese, dato vita alla Resistenza e fondato la Repubblica. Siamo Italiani, quindi antifascisti.

Chiudo con una frase di un partigiano italiano, tratta da Lettere di condannati a morte della resistenza europea: «L’amavo troppo la mia Patria; non la tradite, e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia vita e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale».


1 COMMENTO

  1. Ma come può una giovane articolista scrivere parole così bigotte! Potevo capirlo da vecchi intellettuali imbevuti di cultura novecentesca ma… sono senza parole.
    Il 25 aprile 1945 è stato il giorno ufficiale della nostra Al Naqba culturale ed identitaria. E’ stato il giorno del Grande Inganno. Dove la dittatura dei carri armati ha ceduto il passo alla dittatura del dollaro-sterlina. E parliamo di democrazia pure? Dove in un comune dell’Emilia Romagna dovevi firmare una dichiarazione di antifascismo per ricevere l’aiuto alimentare se eri disagiato? Ma stiamo scherzando? Vorrei reincontrare di persona il mio amatissimo professore, sveglio ed acuto e dirgli vis a vis: “ma davvero state facendo? Veramente permetti di far scrivere ancora usando termini come ‘antifascismo’ ? E fai additare a fascisti coloro che siedono a destra nel nostro legittimo governo nazionale? O quel che resta di questa nazione colonizzata”.
    Occorre oggi più che mai un sano revisionismo storico che spazzi via il fanatismo di una certa sinistra italiana. Forse se riflettiamo autenticamente e liberi da schemi mentali, comprenderemo chi sono i veri “fascisti”.

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