Altro che guerre e boicottaggi…

Quando si parla di dialogo interreligioso e culturale, dialogo che però nei fatti non si concretizza quasi mai, mi viene facile ricordare lo storico incontro tra il frate Francesco d’Assisi, che dopo la sua morte sarebbe diventato San Francesco, Patrono d’Italia, e il sultano d’Egitto Malik al-Khamil, avvenuto a Damietta, in Egitto, nel 1219, durante la V crociata.

Non mi soffermerò sulla figura del Santo d’Assisi perché non credo che i lettori ne abbiano bisogno, ma mi concentrerò sull’episodio specifico e su come e perché Francesco arrivò in Egitto per incontrare il sovrano egiziano, evento narrato in diverse cronache, soprattutto da Tommaso di Celano, frate contemporaneo di Francesco, appartenente al suo ordine, e riconosciuto come suo primo biografo.

L’incontro tra il santo e il sultano avvenne nel novembre del 1219, in piena quinta crociata. Francesco d’Assisi si trovava a Damietta, all’interno del campo crociato agli ordini del cardinale Pelagio, legato apostolico, inviato del Papa.

Francesco era convinto che fosse sì necessario riconquistare Gerusalemme, la città santa, e convertire gli “infedeli” musulmani alla fede cristiana, ma secondo lui non si doveva farlo in modo violento e attraverso le armi, e perciò chiese a Pelagio il permesso di poter andare a parlare con il Sultano per provare a convertirlo e mettere così fine alla guerra, riportando definitivamente la fede cristiana in Terra Santa.

Il cardinale inizialmente negò l’autorizzazione, convinto che i musulmani avrebbero ucciso il frate senza neanche dargli il tempo di aprire bocca, ma in seguito acconsentì, forse proprio per lo stesso motivo, in quanto così avrebbe potuto fornire l’ennesima prova della barbarie dei musulmani, gente con cui era impossibile trattare e firmare un accordo di pace, un buon pretesto per sostenere la sua tesi che la guerra doveva continuare fino all’annientamento degli avversari.

Le cose però non andarono affatto come Pelagio probabilmente si aspettava e, stando alla maggior parte delle fonti che ci sono pervenute, il Sultano diede ordine di non maltrattare Francesco e Illuminato, il frate che l’accompagnò, ma di trattarli come ospiti importanti.

Malik Al-Khamil era un uomo di cultura, sempre disponibile a partecipare a discussioni di carattere scientifico-religioso, un po’ come l’allora giovane Federico II di Svevia, che sarebbe diventato Imperatore l’anno successivo, e per questo motivo ascoltò con grande interesse ciò che aveva da dirgli il frate di Assisi.

L’obiettivo di Francesco era quello di convertire il Sultano, e non ebbe timori a dibattere sulla fede con Al-Khamil, che a sua volta cercò di convincerlo a sposare la fede islamica.

Naturalmente il dibattito si risolse con un nulla di fatto, ognuno rimase convinto della propria fede, e la guerra continuò, ma a ai due frati non fu fatto alcun male, e poterono ritornare nel campo cristiano.

Su ciò che avvenne davvero durante quell’incontro circolano diverse versioni, che si sono accumulate col passare dei secoli, ma quello che mi interessa sottolineare è la genuinità del tentativo del Santo di Assisi di far trionfare la propria fede non attraverso l’utilizzo della spada, ma tramite il dialogo, dialogo comunque accettato dalla controparte islamica.

Ora, a parte il discorso religioso, penso che questa sia la via da seguire anche quando parliamo di diffondere i nostri valori di libertà, giustizia e democrazia (termine in realtà usato tanto ma mai realmente definito).

Ciò che sta succendendo in questi giorni in Afghanistan (ma anche in Iraq e in Libia), ci dimostra che “esportare la democrazia” con le armi è un esperimento da dichiarare ormai totalmente fallito, e quindi bisogna riprovare con il dialogo.

Di certo i Talebani non sono un interlocutore ideale, ma un piccolo esempio può essere ciò che è avvenuto in Arabia Saudita con le partite di Supercoppa Italiana, eventi in cui è stato consentito per la prima vola alle donne di entrare in uno stadio, e in quegli stessi anni le donne saudite hanno ottenuto anche il diritto a ottenere la patente di guida.

Certo, sono piccoli passi, per noi è inimmaginabile che una donna debba lottare per ottenere cose che per noi sono scontate, ma è comunque un progresso, e comunque bisogna sempre tenere a mente che ciò che è giusto e doverso per noi, non sempre lo è anche per gli altri.

A chi propone di boicottare i Mondiali in Qatar perché lì non vengono rispettati i diritti umani, io rispondo che invece eventi come questo sono una grande occasione per diffondere le idee di libertà in quei Paesi, e in ogni caso non vedo molte alternative; i boicottaggi servono solo a isolare un Paese e a inasprirne la situazione (ricordiamoci dei tristi boicottaggi reciproci tra blocco Occidentale e Comunista in diverse Olimpiadi, o della Corea del Nord, il cui pesante imbargo imposto dagli USA serve solo a rendere più dura la vita della popolazione, non certo a indebolire il potere del regime), e abbiamo visto che le guerre sostanzialmente non servono a nulla, se non a creare situazioni illusorie di libertà, tra centinaia di migliaia di morti reali.