Una metafora di approccio alla vita e alle sue contraddizioni
È arrivata in silenzio la neve, e adesso è già solo un ricordo.
È arrivata preannunciata, ma ha comunque stupito, ha generato festa, allegria, sonorità.
All’inizio del nuovo anno, di questa soglia tra passato e presente, nel bel mezzo della lista dei progetti e dei propositi, è arrivata, dolce, bianca, fredda.
Ha ricoperto tutto nella notte, senza farsi notare…è così timida! E come tutte le persone timide riesce ad esprimersi con uno stile tutto suo, capace di conciliare silenzi e tanta bellezza.
“Sotto la neve lo penso: e vedo (o sogno) un piccolo villaggio, una gran pace:
dentro, un cantar di galli. E il piccolo villaggio si smarrisce in un fioccar di neve.
Entro il villaggio in abito da festa una casetta bianca”.
Rilke ha proprio ragione. Nei giorni passati ognuno ha riscoperto la propria casa e i panorami sui quali si affaccia ogni giorno sotto una luce diversa. E chissà, magari ha colto dettagli che nella routine gli sfuggono, non inquadrabili nell’idea di perfezione normalmente inseguita e coltivata. Ecco, una nevicata può essere l’occasione per recuperare il legame con piccole cose ordinariamente straordinarie, dalle quali il sogno dell’efficienza e della potenza facilmente distrae.
C’è di più. La neve copre, ma non schiaccia; imbianca, ma senza annullare i colori; uniforma, ma senza livellare; le cose, i paesaggi, i panorami restano ciò che sono, solo diventano più belli.
Quando piove, si sente: lo scroscio dell’acqua, forte o lieve, è distinguibile. Quando nevica, invece, non si sente nulla, ascoltano gli occhi, si saziano di meraviglia nel vedere l’intensità dei fiocchi cadere nel più assoluto silenzio.
E quando spunta il sole, la neve se ne va. Si scioglie subito si ritira dalla terra, dalla strada, dai marciapiedi con la stessa discrezione con cui è arrivata. Alla fine si dice che “tutto torna alla normalità”, eppure essa non aveva cambiato o alterato nulla; al massimo aveva addolcito i contorni e ammorbidito l’essenza delle cose.
Una poesia di Emily Dickinson fa riflettere:
“La Neve che mai si accumula
la transitoria, fragrante neve
che arriva una sola volta l’anno
morbida s’impone ora.
Tanto pervade l’albero
di notte sotto la stella
che certo sia il passo di febbraio
l’esperienza giurerebbe.
Invernale come un volto
che austero e antico conoscemmo
riparato in tutto tranne la solitudine
dall’alibi della natura.
Fosse ogni tempesta così dolce
valore non avrebbe.
Noi compriamo per contrasto.
La Pena è buona
quanto più vicina alla memoria”.
La poetessa inglese sembra invidiare la semplicità della neve, così diversa dai problemi che attanagliano l’animo umano; eppure tra le righe vi è qualcosa di più profondo di uno sfogo lamentoso. Dicendo che una tempesta troppo “dolce”, proprio come una nevicata, non avrebbe valore, la Dickinson sta sostenendo che una vita senza lotte non è degna di essere vissuta, poiché sono queste a darle senso profondo. L’uomo infatti “compra per contrasto” e al di fuori dei chiaroscuri esistenziali, dove sperimenta la necessità di tenere insieme gli opposti, vivrebbe a metà, semplicisticamente.
Ritorna così il tema della complessità, quella complessità la quale, si era detto, non può che essere accolta e vissuta come la più alta delle possibilità di pienezza umana.
Ma qui sta il punto: la neve non inganna, non promette cose facili, a buon mercato; la sua delicatezza mira ad abbellirle, la sua presenza dona attimi di purissima contemplazione e riflessione, di svago e novità, il suo saper andare via insegna la difficile arte di scomparire.
La neve è una metafora di approccio alla vita e alle sue contraddizioni: insegna ad entrare nella realtà variegata, complessa, selvaggia con un modo di fare capace di addolcire, che non punta a rivoluzionare e cambiare quello che non va, ma ad accarezzare le diversità e a tenere tutto insieme in una possibile armonia. E non per diluire i problemi o risolverli nella fiaba dell’amore universale, semplicemente per entrare in essi con occhi puliti, in grado di osservare prima di discernere, valutare e scartare. Perché è chiaro: poi bisogna agire, bisogna saper abitare la realtà con tutti i rischi annessi e connessi alla sua ineludibile varietà. Lo sa anche la neve: si è detto come, terminato il suo compito, si ritiri senza remore e pretese.
Bisognerebbe stare al mondo, toccarlo, gustarlo, amarlo proprio così: come una nevicata improvvisa!