I droni, diffusosi ampiamente in campo civile, sono diventati strategici per le guerre e per lo spionaggio, come hanno dimostrato gli ultimi eventi in Ucraina e in Serbia.

I droni sono uno strumento utile in qualsiasi campo e il loro utilizzo è cresciuto notevolmente negli ultimi anni, tant’è che l’Unione Europea ha stimato entro il 2035 un introito di oltre 10 miliardi di euro che creeranno 100000 posti di lavoro. Per tale ragione, Bruxelles ha adottato un nuovo regolamento, che sostituisce il precedente del 2008.

Ovviamente, anche il settore militare non ha perso l’occasione di sfruttarli a suo piacimento, e se solo fino a poco tempo fa il loro utilizzo poteva essere relegato a uno scenario tipico del Warfare di noti videogames, alcuni Stati hanno già colto le enormi potenzialità di questi aeromobili senza equipaggio. Già nell’attuale conflitto ucraino russo sono stati utilizzati droni kamikaze di produzione iraniana che volano a quasi duecento chilometri di velocità e che sono in grado di trasportare cariche esplosive non ampie, ma che possono comunque apportare danni ad infrastrutture e centrali. Sono armi relativamente a basso costo, che non richiedono un grande budget, ma dal risultato  garantito. Dopo una prima smentita, il Governo iraniano ha ammesso di averli consegnati ai russi, che al contrario continuano a negare l’evidenza, specificando tuttavia di averli inviati prima del conflitto.

I droni, dunque, rappresentano risorse assolutamente interessanti che introducono una guerra da remoto che tende a massimizzare il risultato e a minimizzare le perdite. Gli stessi russi hanno sviluppato droni sottomarini in grado di trasportare persino testate nucleari, come il temibile Poseidon che tanto tiene in allerta NATO e USA.

Oltre all’uso diretto sui campi di battaglia, nelle ultime settimane i droni sono stati protagonisti di attività di spionaggio condotte dal Kosovo, nei territori della Serbia centrale. Gli albanesi hanno una certa dimestichezza con questo device. Forse a qualcuno verrà in mente l’episodio dell’ottobre 2014 quando, durante la partita di calcio tra Serbia e Albania, un drone con la bandiera della Grande Albania e con la scritta “Kosovo autoctono” sorvolò il Partizan Stadion e planò verso il terreno di gioco, creando la reazione dei giocatori serbi che tirarono via la bandiera dal drone, una provocazione che alzò il livello di tensione tra i due paesi, oltre che a comportare la sospensione della partita.

Nei giorni scorsi, invece, dal Kosovo, stato indipendente a maggioranza albanese, si sono innalzati diversi droni che hanno perlustrato le installazioni militari serbe, uno dei quali sarebbe stato abbattuto da un MIG – 29. La rinnovata tensione tra i due Stati balcanici segue la decisione da parte di Priština di imporre l’obbligo di reimmatricolazione degli autoveicoli con targa serba,  deliberazione di cui avevamo parlato in un articolo apparso qualche mese fa. Ovviamente ci sono state le reazioni ufficiali, in particolare da parte del Ministro della Difesa Vučević e del Presidente della Repubblica di Serbia Aleksandar Vučić. Vučević ha specificato la finalità precisa di questi droni che sarebbe quella di osservare tutti i presidi  e le installazioni militari. A questi tentativi di intrusioni, ha aggiunto il Ministro, il Paese risponderà per difendere i suoi cittadini e la sua integrità. Ha poi chiarito di non sapere di chi siano questi droni, ma di essere certo che provengano da Kosovo e Metohija. In sostegno dell’integrità territoriale e della sicurezza, ha alzato i toni affermando: “quando la Serbia parla di pace e stabilità, non significa che siamo deboli, che possiamo essere maltrattati e umiliati. Non ci stiamo preparando per la guerra, ma non possiamo essere completamente impreparati a tutto ciò che accade”.

Il Presidente Vučić ha emesso un ordine ufficiale: tutti i velivoli nemici saranno distrutti.

Non è mancata la risposta di Priština che attraverso la ministra degli esteri Donika Gervalla ha accusato Belgrado di voler alzare volutamente la tensione per una falsa operazione militare. Ha ribadito che “il Kosovo è indipendente, con Nato e Usa che difendono la pace nei Balcani” e che sono passati i tempi del 1991,1996 e 1999. Mentre l’Europa cerca di regolare il traffico civile di questi aeromobili, fornendo un regolamento minuzioso nel quale si specifica a quale altezza il drone debba essere fatto volare, esclusivamente di giorno e non in zone interdette al volo, con un certificato UE in possesso, altri Stati hanno invece colto le potenzialità offensive e provocatorie di un mezzo che si muove da remoto e che, come abbiamo visto, può apportare risultati positivi, senza un grande dispendio di uomini e risorse.

Provocare, spiare, attaccare: ecco mostrata la duttilità di tali strumenti che possono essere strategici nelle guerre che verranno. In un futuro prossimo, questi strumenti, insieme ad alcune armi di precisione e alle cosiddette bombe atomiche tattiche, potrebbero  essere ampiamente sfruttati per conflitti senza rischi, a costi limitati, ma probabilmente non riusciranno a sfuggire ad  un effettoescalation, dove la guerra classica tornerebbe ad imporsi nella modalità classica e terribile che conosciamo.