Un’esplorazione letteraria di Federica Cotugno
Nel significato etimologico del verbo latino “lĕgĕre”, che significa “raccogliere”, si può trovare un parallelo con il verbo greco “λέγω”, che significa “dire”.
Mi piace pensare che “leggere”, nel suo senso concreto, significhi cogliere con gli occhi. Questo è il valore che, da lettrice e scrittrice, attribuisco a una parola così apparentemente fugace, ma in realtà intrisa di profondo sentire.
Sin dalla tenera età, ho avuto tra le mani storie di eroi invincibili e di principesse descritte nella loro minuziosa perfezione. Oggi credo che non ci sia nulla di più fuorviante del pensare che la totalità di ciò che viene descritto sia vero.
Quello che più mi colpisce dell’attuale modernità invece, è la normale propensione a descrivere il diverso: colui che a volte cade quando la vita fa lo sgambetto e che non sempre riesce a combattere i mostri, soprattutto quelli interiori.
Siamo abituati a un ideale di personaggio perfetto, a un carattere socialmente devoto all’eccellenza, ma questo non rappresenta la normalità.
Siamo umani, e in quanto tali, sbagliamo e siamo imperfetti. È questa la parte che prediligo leggere e cogliere con le mie fragili iridi: la speranza di non essere sola, il bisogno di non sentirmi sbagliata.
Anastasia Parpaglioni, scrittrice esordiente, ha descritto con delicatezza ed estrema cura l’imperfezione naturale dell’animo umano nel suo romanzo “Blu, il cielo nei suoi occhi”. La sua protagonista, Australia, è una ragazza che lotta contro la cianofobia, la paura dell’azzurro. La giovane esplora il dolore, la confusione e il panico, in modo realistico e commovente, rendendo palpabile la sua lotta intima.
Queste sono emozioni che, come tutte le altre, vanno assimilate ed affrontate, mai abbandonate. Come diceva Giancarlo Stoccoro, “il buio raggiunge luoghi inaccessibili alla luce”: credo che si possa racchiudere il significato intero del mio introspettivo monologo, in questa unica citazione. Solo affrontando ciò che ci rende instabili, possiamo conoscere veramente noi stessi e raggiungere la serenità.
Dobbiamo concederci il privilegio di sbagliare, di ricominciare, di essere imprecisi.
Godiamoci, qualvolta, il panorama della nostra singolare unicità.
Non siamo meno meritevoli se fragili, siamo semplicemente umani.
Anastasia Parpaglioni ci invita, attraverso la sua opera, a un viaggio interiore di accettazione e consapevolezza, celebrando l’imperfezione come essenza dell’essere umano. La sua narrazione, delicata e toccante, offre una prospettiva autentica e rincuorante che spero possa raggiungere e toccare i cuori di molti lettori, come ha fatto con il mio.
Con l’augurio che queste maschere di apparente impeccabilità cadano, lasciando il posto alla spontanea incompletezza.
di Federica Cotugno