
“Ama Dio e ama il prossimo, diceva il comandamento. Ma già per Nietzsche Dio era morto. E il prossimo? Nel mondo pre-tecnologico la vicinanza era fondamentale. Ora domina la lontananza, il rapporto mediato e mediatico. Il comandamento si svuota. Perché non abbiamo più nessuno da amare”
(L. Zoja, La morte del prossimo)
Come un castello di sabbia necessita di una dedizione e precisione particolare per rimanere in piedi evocando la meraviglia di chi lo ammira cosi ognuno di noi ha bisogno di tanti piccoli frammenti di valori e sentimenti disposti l’uno sull’altro, così saldi da reggere il volto e permettergli di guardare tutto ciò che ci troviamo di fronte. A volte, però, basta un po’ di solitudine oppressiva, angosciante irrevocabile a spingere e a far cadere tutta l’anima mettendo a nudo la fragilità dell’uomo.
Non si può nascondere e non si può tergiversare sul fatto che ci troviamo in un’epoca di controversie e contraddizioni. Un’epoca in cui si fa tanto riferimento a interattività, a scambi comunicativi di larga diffusione, a espansione della visione della vita, ma tanto più siamo connessi a questi sistemi di intrattenimento oggettivi tanto più siamo disconnessi dall’intrattenimento soggettivo, quindi dalla realtà relazionale con l’altro, il prossimo.
Siamo tutti catapultati nella frenesia del giorno tentando di tenerci quanto più occupati possibile mettendo, però, sempre in secondo piano il preoccuparsi dello star bene con noi stessi e di conseguenza con l’altro. Una preoccupazione che comporta un distacco con il vivere sano, ricercando nel benessere materiale l’unica compensazione possibile a cui far riferimento, oscurando ogni lato dell’essere in sintonia con il nostro vivere quotidiano. Si pensa di vivere nell’agio assoluto, ma in realtà molti vivono una situazione di disagio personale e sociale sfociando in una solitudine costante da cui si cerca di risalire solo attraverso tutto ciò che è incondizionatamente uguale alla massa: buttandosi nel fare ciò che fanno gli altri allontanandosi sempre più dalla percezione dell’essere unico.
La solitudine è imperante si è relegato negli abissi uno dei bisogni primari dell’uomo: il bisogno dell’altro, del prossimo, di contatto.
In effetti, molti tra adulti, giovani e a volte anche giovanissimi fomentano una solitudine inconscia a cui non riescono a dare risposte e forse tendono solo a nascondere per non apparire deboli. Questo sentimento represso però altro non fa che covare una grande depressione interiore dalla quale si finisce spesso per evadere perché non si hanno gli strumenti valoriali necessari. Senza di essi risulta difficile prendere coscienza del problema e capire che attraverso la ricerca della relazione con l’altro si può auspicare all’unica salvezza possibile per la serenità interiore con cui si riuscirà a confrontarsi a testa alta con una nuova percezione e visione della vita.
Bisognerebbe trascorrere un po’ di tempo ad interessarsi delle proprie emozioni e sentimenti convertendole in opportunità di interazione, dialogo e condivisione.
Molto spesso, invece, si è trasportati da pulsioni incontrollate in cui all’apice si trova il permissivismo eccessivo che fa capo quindi ad un stile di vita dove tutto è possibile, uno stile di vita in cui si è lungi dal riflettere sulle conseguenze del fare quanto piuttosto si è solo spinti da un volere e poter fare senza salvaguardare nessun valore etico proprio e dell’altro. Per questo molte relazioni sono passeggere, insignificanti prive di amore e che conducono ad amare per paura della solitudine e non per amore autentico.
Amare l’altro con dedizione aprendosi all’altro come un’ostrica: che meraviglia sarebbe trovare nel mare infinito un’ostrica, prenderla fra le proprie mani con attenzione aprirla e rimanere incantati dalla perla che racchiude in sé. Una perla rara che appartiene solo a chi la trova, di cui può prendersi cura facendo per egli stesso il dono più prezioso. Questo dovrebbe essere l’amore per l’altro: un amore unico, che ci faccia sentire unici e nello stesso tempo creare un’unicità con l’altro (il prossimo).