Oggi le neuroscienze hanno settori molto specifici che si basano su approcci diversi per cercare di comprendere questo complicatissimo organo che è il nostro cervello. Soprattutto in ambito medico, quantificare in maniera oggettiva un’immagine è di vitale importanza per giungere al cosiddetto “gold standard”, una diagnosi puntuale per la cura della malattia a vantaggio del benessere psicofisico. A spiegarcelo è Sabina Sonia Tangaro, professoressa di Fisica Applicata presso il Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro

Salve, Prof.ssa Tangaro. Cosa si intende per “Fisica delle Immagini”?

Le immagini che percepiamo con gli occhi o le immagini che vengono registrate, ad esempio, da un telescopio sono il risultato di una serie di processi fisici. Quando vediamo un oggetto illuminato da un fascio di luce bianca oppure colorata, l’immagine che percepiamo è diversa. Se tra il nostro occhio e l’oggetto illuminato vi è un filtro (ad esempio anche dei semplici occhiali da sole) l’immagine che percepiamo è diversa. Vi sono pertanto molti fattori che determinano la formazione di una immagine come la sorgente di luce che illumina l’oggetto, la struttura dell’oggetto osservato, i filtri presenti e il sistema di rivelazione dell’immagine (quest’ultimo potrebbe essere anche il nostro occhio). Pensiamo ad esempio al corpo ‘illuminato’ da un fascio di raggi X. L’immagine prodotta è la radiografia che ci mostra una struttura del corpo umano che non vediamo ad occhio nudo. La produzione dell’immagine è il risultato quindi di una serie di processi fisici e della trasmissione dei segnali nei diversi materiali attraversati.

Altra questione da tenere in considerazione è l’interpretazione dell’immagine. A seconda di come è stato ‘addestrato’, il nostro cervello impara a riconoscere alcuni specifici oggetti in una immagine: pensiamo ad esempio alla interpretazione di un radiologo quando ‘legge’ una TAC. Oggi un contributo alla interpretazione delle immagini è possibile anche grazie ai metodi di intelligenza artificiale. E anche qui la Fisica è importante perché gli algoritmi usati per svolgere questi compiti si basano su modelli fisico-matematici.

Come spiegherebbe ad un bambino il concetto di connettività funzionale?

La connettività è un concetto fisico matematico che spiega il comportamento di un sistema come un unicum e non come somma dei comportamenti delle singole parti che lo compongono. Ad esempio, se fai un esercizio di memoria, non si è attivata solo una parte del tuo cervello ma si attivano insieme alcune aree che svolgono quel compito cooperando tra loro. Il fatto interessante è che le aree connesse nel cervello si organizzano a seconda dei compiti che devono svolgere e hanno anche spesso un ‘piano B’ che viene attuato quando qualche elemento del sistema comincia a non funzionare più tanto bene. E’ per questo motivo, ad esempio, che la malattia di Alzheimer viene diagnosticata più tardi rispetto a quando la struttura del cervello inizia a modificarsi. In pratica il nostro cervello trova il modo di sopperire alla perdita strutturale utilizzando le connessioni ‘alternative’ tra le varie aree.

Quali diverse aree cerebrali vengono interconnesse partendo da immagini funzionali?

Lo studio di come le diverse aree del cervello comunicano tra loro è ancora un tema su cui il mondo scientifico sta lavorando. Sebbene siano noti i meccanismi principali, come la trasmissione dei segnali elettrici tra i neuroni, la dinamica funzionale del cervello è oggetto di grande interesse scientifico. Si utilizzano, ad esempio, immagini di risonanza magnetica funzionale o segnali elettroencefalografici per studiare le attivazioni delle singole aree, la loro connessione, il ruolo di ogni area del cervello nello svolgimento di un certo compito. In particolare si studia come questo complesso sistema cambia durante la vita di una persona e quando, purtroppo, ci si ammala. Siamo ormai avvezzi all’uso della parola ‘pandemia’ ma non ci si rende conto del grandissimo numero di persone che soffrono di patologie del cervello. Nelle persone con malattie del cervello spesso la connessione tra le diverse aree del cervello è alterata. Ma il problema è molto complesso perché i fattori che influenzano il ‘comportamento’ del cervello sono tantissimi!

Consiglieresti un particolare modus operandi per approcciarsi ad un futuro che guardi oltre i confini delle ancora ignote neuroscienze?

Oggi le neuroscienze hanno settori molto specifici che si basano su approcci diversi per cercare di comprendere questo complicatissimo organo che è il nostro cervello: si pensi alla neurobiologia, alle neuroscienze computazionali, alla ‘network neuroscience’, ecc.  Probabilmente in futuro dovremo considerare tutto in una ottica più completa e personalizzata dove lo stato di salute non è solo l’assenza di una patologia ma piuttosto uno stato di benessere che può essere diverso per ognuno di noi ma che certamente non può essere in contrasto con il benessere della società e dell’ambiente in cui viviamo. Si tratta del concetto di ‘One health’ dove salute coincide con benessere del Pianeta e di tutti gli esseri che ci vivono.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.