Conversazione con Nicola Lagioia

Eravamo su un treno che viaggiava velocissimo, che non si fermava quasi mai a raccogliere gli ultimi o a darci un po’ di respiro, poi sui binari abbiamo trovato un Alt. Una battuta d’arresto, inaspettata, che ha coinvolto tutti. Un momento obbligato per riflettere su stasi e cambiamento, interni ed esterni a noi.

Quanti di noi avevano un libro su quel treno? Quanti avrebbero voluto averne uno per ingannare sé stessi e il tempo o, al contrario, per leggere la complessità della situazione che stavano vivendo tra le pagine, in un’altra chiave?

Di libri, quarantena e cambiamenti ho avuto il piacere di parlare con Nicola Lagioia, scrittore e direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino.

Vorrei iniziare questa chiacchierata chiedendoti scherzosamente come vive uno scrittore in quarantena.

La quarantena è stato un momento complicato anche per scrivere e leggere. Da scrittore, posso dire che la vita in quarantena non è poi così diversa da quella che fai quando sei alle prese con un romanzo. Ma questo periodo ha reso evidente una differenza fondamentale: fuori la città era deserta. E c’è bisogno che la vita fuori continui per scrivere, e così anche per leggere. Mancava quel sentimento di apertura e disponibilità verso il mondo e il futuro, un sentimento che questa situazione in qualche modo tarpava.

Com’è stato portare avanti il lavoro del Salone del Libro in questo periodo? Che anno sarà senza Salone “tradizionale”?

Non posso negare che portare avanti il lavoro del Salone in questo momento sia stato complicato. Nonostante ciò, non sarà un anno del tutto senza Salone: certo, non c’è stata la fiera tradizionale (che si tiene a maggio a Torino, ndR) ma c’è stata una sua versione online organizzata in pochissimo tempo. Abbiamo avuto nomi di grandissimo rilievo, tra gli altri: Donna Haraway, Joseph Stiglitz, Salman Rushdie, Samantha Cristoforetti, e Alessandro Barbero, che ha tenuto una magistrale lectio inaugurale nella Mole Antonelliana. Siamo stati sopraffatti da un’ondata di affetto, sono accorse online persone che non avrebbero mai potuto partecipare fisicamente alla fiera per motivi di età, salute, lavoro o posizione geografica. Questo è valso anche per gli autori: finalmente abbiamo avuto l’onore di ospitare lo studioso statunitense Jared Diamond, solitamente impossibilitato per via della sua attività di insegnamento all’Università della California, ma che quest’anno è riuscito a unirsi virtualmente a noi.

Si è parlato di cambiamento, in questo periodo, in ogni senso. Pensi ci possa essere anche un cambiamento nell’atteggiamento della popolazione nei confronti della cultura?

Penso che potrebbe cambiare l’atteggiamento nei confronti della lettura, più che della cultura. Le librerie sono state tra le prime attività a riaprire e, nonostante la fragile situazione economica che stiamo vivendo, un po’ di gente ci è rientrata. Stiamo affrontando un periodo molto complesso: la pandemia ha innescato una serie di complessità dal punto di vista sociale, economico e politico, e quale complessità è meglio indagata con altrettanta complessità se non dai libri? Non so se quello che è successo porterà le persone a leggere di più, ma credo che il libro sia un buon compagno di viaggio in questo periodo incerto e complicato che stiamo attraversando.

A livello culturale e non, cosa potrebbe succedere? Cosa ci aspetta, Medioevo o Rinascimento?

Non so cosa ci aspetta, ma credo sia poco sensato leggere il futuro con i vecchi codici storici, perciò non parlerei di Medioevo né di Rinascimento, che sono periodi unici di per sé. Ci sarà qualcosa che non riusciamo bene a immaginare, le strade potrebbero essere diverse. Si potrebbe arrivare a una economia ancora più oligarchica e feudale – usando termini medioevali – o a una maggiore giustizia sociale, che sarebbe un risvolto positivo e atteso da tutti. Tuttavia la mia percezione è che il virus, anziché essere un fantasma dal passato, una reincarnazione delle epidemie medioevali, sia piuttosto un ambasciatore dal futuro. Tra soli trent’anni il cambiamento climatico potrebbe avere delle conseguenze così violente da farci guardare al coronavirus come a un piccolo incidente. Perciò se questo virus, assieme a tanto dolore, ha portato qualcosa di positivo è proprio questo: la possibilità di cambiare il nostro modello di sviluppo, e non solo in termini economici. Questa possibilità di cambiamento può essere estesa al nostro modo di stare insieme e di intendere la vita, fino ad arrivare a modificare il mondo intorno a noi.