A partire dalle piccole cose. E dal senso di appartenenza

È convinzione diffusa che la ricchezza e il benessere di una nazione o di una città siano il frutto di scambi commerciali di beni e servizi, frutto della produzione di beni industriali, della scaltrezza e intraprendenza degli imprenditori e professionisti. In parte questo è vero, ma non del tutto, anzi in minima parte. Infatti ricchezza e benessere non necessariamente si rivelano fattori positivi per tutta la nazione o tutta la città. Anzi troppo spesso sono appannaggio di una cerchia ristretta di soggetti e ancor più spesso a discapito degli altri, della maggior parte.

L’argomento che si vuole condividere in questa sede è ben altro: il progresso sociale e lo sviluppo economico di una nazione o di una città passa anche attraverso la produzione di beni, gli scambi commerciali, la circolazione della moneta, ecc., ma non solo, e neanche in quanto elementi generatori di progresso e di sviluppo, quanto piuttosto risultati di questi ultimi.

Andando oltre occorre domandarsi quali sono gli elementi che fanno grande una nazione o una città.

Basta la ricchezza? È sufficiente produrre e consumare beni e servizi in gran quantità per avere benessere e progresso? Cosa fa veramente grande un popolo, una comunità?

Cosa produce valore, cosa genera quel quid pluris, che oltre ad arricchire il singolo produce valore pubblico?

A modesto parere di chi scrive i presupposti per generare valore e soprattutto valore pubblico sono ben altri e risiedono in un percorso lungo una vita e non di una sola vita, ma di molte vite, appunto quelle di una comunità. In un esercizio costante e collettivo, una palestra di vita quotidiana (il gymnasium) nella quale e durante la quale si insegnano e si imparano le fondamenta di ogni progresso e benessere: il senso di responsabilità, il senso di appartenenza alla propria comunità e il desiderio di vivere il futuro.

È questa l’anticamera, il terreno sul quale costruire ogni iniziativa, qualsiasi progetto e progresso economico e sociale, e soprattutto costruire gli uomini.

Continuiamo a confondere progresso con sviluppo. Pier Paolo Pasolini aveva individuato bene la differenza: lo sviluppo è il potenziamento della tecnica, ma non il progresso, che è invece il miglioramento della condizione umana.

I valori (la responsabilità, l’appartenenza, la voglia di futuro, ) funzionano, come le leggi, quando i loro enunciati vengono interiorizzati psicologicamente e diventano inconscio collettivo, vengono acquisiti dalla collettività come metro di vita, come comportamento spontaneo e non ragionato, indotto, sforzato.

Fatta la premessa e lungi dalla presunzione di voler spiegare fenomeni sociologici, anzi mi dichiaro apertamente ignorante, la domanda che mi sono posto è: “cosa si può fare”?

Nessuno ha la soluzione in tasca, ma ognuno può contribuire mettendo a disposizione le proprie esperienze, i saperi, la voglia di dare un contributo. Una delle strade maestre ritengo sia quella della cultura, non intesa come erudizione, ma come insieme di conoscenze che concorrono a formare la personalità di un individuo, sul piano intellettuale e morale e all’acquisizione della consapevolezza del ruolo che gli compete nella società.

Per costruire un sistema di saperi, opinioni, credenze, costumi e comportamenti che caratterizzano in modo unico una comunità e che si tramuti in un’eredità storica che nel suo insieme definisca i rapporti all’interno di quel gruppo sociale e quelli con il mondo esterno.

Detto ciò occorre partire dall’insegnamento del senso di appartenenza alla propria comunità. Una delle carenze più evidenti nella nostra città è la mancanza del senso di appartenenza alla città, alla comunità intera. Molti si sentono parte di gruppi specifici: l’associazione sportiva, la compagnia teatrale, il gruppo di volontariato, gli ultras, ecc.

Le società spesso si tingono di chiaroscuri, e la città di Andria non ne è esente. Anzi la comunità cittadina vive una dicotomia costante tra il chiaro e lo scuro, tra il bene e il male, tra l’appartenenza e il menefreghismo

Pochi si sentono di appartenere a tutta la città, anche a coloro che non conoscono, di appartenere alle sue Istituzioni.

Il senso di appartenenza alla propria comunità, alla propria gente, alle strade alle piazze, viene meno in metà della cittadinanza.

Già, la cittadinanza, questo costante esercizio di responsabilità, di appartenenza. Una cittadinanza attiva, propositiva.

La cittadinanza passa dalla conoscenza, dal sapere, dalla fruizione della conoscenza anche a piccole dosi per i più “piccoli” di ogni età (nuovi analfabeti, ignoranti, nichilisti), ma non solo per loro, ma per tutti coloro che seppur eruditi e acculturati, mancano di appartenenza, sono ignoranti in tema di educazione civica e mancano di appartenenza.

Si avverte la mancanza di quello che una volta si insegnava a scuola, nelle classi inferiori, proprio perché serviva in tenera età a costruire l’uomo del domani, il cittadino: l’educazione civica.

Ed è questo il terreno che si vuole “coltivare” con umiltà, per creare un’occasione di crescita collettiva, per coinvolgere, chi ancora non lo è, nella costruzione dell’appartenenza alla propria città/comunità.

Come? Attraverso una rubrica che affronti alcuni temi, quelli propri della “vecchia” educazione civica, i principi della Costituzione, attraverso l’elaborazione di proposte e progetti da realizzare con le altre realtà associative, con i singoli cittadini e con le istituzioni, realizzando e dando corpo e sostanza alla sussidiarietà orizzontale scolpita nella Costituzione.

Una rubrica sulla Civitas, sulla costruzione dell’appartenenza alla propria comunità e alle Istituzioni.

Partire dal diritto alla salute, dal dovere di pagare le tasse, dal diritto/dovere di controllare e custodire tutto ciò che è “pubblico”, per uscire dalle categorie sbagliate del menefreghismo o al contrario dell’appropriazione di ciò che pubblico, e maturare il concetto sano di res pubblica, e tanto altro ancora.

Ad iniziare dalle piccole cose.


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Formazione classica, laurea in Scienze Politiche e specializzazioni giuridico-economiche. Coautore di “Ecosofia, per re-esistere alla crisi antropologica” edizioni EtEt 2012. Fortunato viandante su questa terra, consapevole che ho ancora tanto da imparare, come Diogene alla ricerca dell’Uomo, degli esseri con i quali costruire il futuro di tutti. Appassionato della vita, ho avuto la fortuna di incrociare sul mio cammino persone uniche che mi hanno rivestito di amore, passioni, forza. La vita mi ha regalato molte esperienze diverse, ma tutte speciali. Scrivere? È come condividere se stessi con gli altri: due passioni che coltivo da sempre. Nonostante le molteplici e importanti esperienze professionali, il mio centro di gravità permanente rimangono le persone: la famiglia, gli amici e le esperienze sociali nelle diverse sfaccettature. Inizio un nuovo viaggio, una nuova avventura con una certezza: “Se vuoi arrivare primo, corri da solo. Se vuoi andare lontano, cammina insieme agli altri” (proverbio africano).