«La scelta di un giovane dipende dalla sua inclinazione, ma anche dalla fortuna di incontrare un grande maestro»
(Rita Levi-Montalcini)

Essere tramite, un punto di passaggio, di attraversamento: è su questo che sto riflettendo negli ultimi giorni, anche a seguito di parole fin troppo belle che mi sono state rivolte pubblicamente da un mio caro Maestro.

Vorrei prescindere il più possibile dalla mia persona e perciò mi limiterò a riassumere in due parole il contesto: un incontro pubblico, il mio Maestro in prima fila, io che lo ringrazio davanti a tutti per quanto mi ha dato, per l’amore con cui ha corretto – nel senso etimologico: “guidare reggendo le briglie” – la ricerca inquieta del suo allievo, lui che si commuove e viene fuori, a fine incontro, con delle parole che mi hanno folgorato: «Per quanto tu dica di essere ancora in ricerca, e io ti auguro di non terminare mai questa ricerca, permettimi però di dirti anche che quel Dio che tu stai cercando ti ha già trovato, ti ha già incontrato e si serve di te per diffondere il suo messaggio ed io di questo sono certo».

Ora, a parte il fatto che auguro ad ogni allievo di essere ri-conosciuto con tanto affetto dal proprio educatore – ed io dai miei educatori, proprio per il loro affetto, sono stato letteralmente salvato –, le parole del Maestro Luigi – mi limito al nome per rispetto del suo pudore – hanno scatenato in me due ordini di riflessione: primo, se renderle o no pubbliche; secondo, cosa fa sì che un Maestro possa dire: “Io di questo sono certo”, tanto più in tempi di incertezze dilaganti?

Punto primo. Le parole le ho rese pubbliche. Mi frenava il timore di essere accusato, per l’ennesima volta, di essere egocentrico e vanitoso. Me ne sono infischiato. Ho pensato che la bellezza vada contemplata, che il bene faccia più bene se condiviso, che siamo sommersi tutti i giorni da parole ostili e che, pensassero quel che vogliono i miei venticinque detrattori (a ciascuno il suo: quelli di Manzoni erano “lettori”…), qui non si parlava di me in quanto me, ma del rapporto tra un maestro e un allievo e, ancor più, della funzione e ruolo del Maestro – e con ciò siamo già al punto secondo. E così ho pubblicato.

Dicevamo, il punto secondo. Cosa fa sì che un Maestro “veda” un allievo, cosa fa sì che lo riconosca, cosa fa sì che dell’allievo possa “essere certo”? Io credo: l’amore, la passione educativa, la scommessa che sta alla radice di ogni scelta pedagogica, quel che Recalcati – e, in realtà, Socrate e Platone prima di lui… – chiama eros.

Il mio Maestro non ha creduto in me dopo aver fatto un test sul mio QI. Non ha creduto in me al termine di uno o più esami di università. Ha creduto in me quando mi ha guardato negli occhi. Quando mi ha ascoltato. Quando ha accolto dentro di sé la mia sete e la mia irrequietudine. Esattamente e così mi ha salvato.

Solo dopo ha aggiunto la sua scienza accademica e la sua sapienza umana. E il cerchio si è compiuto.

Forse, è solo così che si è Maestri. Perché si è Maestri, non lo si fa.

E lo si è, a prescindere dai propri limiti – una cara amica mi suggerisce di usare “proprie caratteristiche” invece che “limiti” –, nella misura in cui si è disposti a lasciarsi attraversare da quanto di bello, giusto, vero, buono ci capita di vivere, sì che si possa agire come strumenti – qualcuno diceva “servi inutili” –, tramiti, punti di passaggio. Metaxu.

Da persona a persona, da una generazione all’altra. Per restare umani. E vivi.

Alessandro Magno: «A mio padre devo la vita, al mio maestro una vita che vale la pena essere vissuta».

Socrate: «L’insegnante mediocre racconta. Il bravo insegnante spiega. L’insegnante eccellente dimostra. Il maestro ispira».

Ma-tzu: «Non sforzarti di seguire le orme dei maestri: cerca ciò che essi cercavano».

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FontePhotocredits: Paolo Farina
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...