Notifica di demolizione della “scuola di gomme”: che fine ha fatto la giustizia?

Il mio mese di febbraio, da ormai tre anni, è velato da un senso di incompletezza. Non è colpa del clima o del meteo instabile, né degli esami della sessione invernale dell’università, ma della nostalgia della Palestina. Ogni anno, i social mi ricordano il 4 febbraio, il giorno della partenza per la gita del quinto anno delle superiori. Un pensiero che si impone prepotente fra le mille preoccupazioni per l’esame imminente, riportandomi in quella terra.

Quest’anno è stato diverso: la notizia della ormai prossima demolizione del villaggio di Kahan Al Ahmar mi ha scosso dalla mia confortevole vita. È ritornata l’indignazione. “Non rabbia, ma indignazione”, come ci diceva il prof. Farina “c’è una differenza enorme”, che ho compreso durante quei giorni passati in Palestina. Giorni nei quali la vista delle ingiustizie, dei diritti negati ha scatenato in tutti noi la voglia di far conoscere agli altri questa realtà. Così è nato “Exist is to rexist. Studenti in viaggio. In Palestina” (EtEt edizioni, Andria 2014), un libro per urlare il vortice di emozioni che ci attraversava, per far capire perché fossimo tornati così diversi da quel viaggio. Non è stato facile fra scuola, preparazione per gli esami di stato, test di ammissione all’università, ma sentivamo l’esigenza e anche il dovere di raccontare, di informare. È il racconto delle ingiustizie di cui abbiamo solo assaggiato l’amarezza, proposto con gli occhi di una quarta e quinta classe liceale e di quattro professori coraggiosi, o irresponsabili, come molti all’inizio hanno pensato.

Abbiamo subito deciso a quale fine devolvere il ricavato delle vendite: la scuola di gomme del villaggio beduino di Khan Al Ahmar. Il prof. Farina ci aveva parlato diffusamente di questa scuola e durante il viaggio ero incuriosita all’idea di poter vedere la “scuola di Gomme”, quasi fosse un mito. In realtà lo è. È il monumento della lotta dei beduini Jahalin contro le ingiustizie che devono sopportare da anni, costruita in un clima di sfida. È la risposta alle restrizioni imposte da Israele per la costruzione di edifici nella zona C, secondo cui non si può costruire impiegando cemento, ferro e fondazioni. La gomma è stata la soluzione, proposta e finanziata dalla ONG italiana “Vento di terra”, per garantire un’istruzione ai piccoli abitanti del deserto. L’intero villaggio, però, è in una zona che rientra fra le mire espansionistiche di Gerusalemme, il corridoio E1. Così i padri di famiglia della comunità dei Jahalin sono stati messi di fronte ad un bivio: abbattere la scuola o essere licenziati dai loro impieghi come costruttori presso gli insediamenti israeliani in territorio palestinese. Hanno preferito l’istruzione dei propri figli al proprio lavoro, non cedendo al ricatto.

Ricordo il nostro arrivo al villaggio di Khan al-Ahmar: una lunga scarpinata nel deserto, ancora una salita fra qualche tenda, baracca, alcuni animali e poi un’impalcatura che sorreggeva un telo nero. Uno schermo che nascondeva agli occhi dell’insediamento israeliano di Maale Adumim le piccole modifiche che venivano apportate alla scuola di gomma. Perché un piccolo cortile con delle giostrine dovrebbe essere illegale? Forse perché rende un po’ più piacevole andare a scuola, la scuola comporta istruzione e l’istruzione è emancipazione. Per finanziare piccoli spazi come questi abbiamo donato i ricavi del nostro libro. Per quei bambini che al nostro arrivo, senza conoscerci, ci hanno accolto offrendoci le loro merende, che intimoriti hanno infilato le mani nei nostri pacchetti di patatine; per quelle bimbe che, timorose, guardavano noi estranei rimanendo sull’uscio della classe, pronte a nascondersi dietro il muro di copertoni non appena incrociavamo il loro sguardo; per quei bambini a cui a scuola viene insegnato a relazionarsi con l’altro, a non averne paura.

Alla scuola di gomme, però, è stata presentata notifica di demolizione la settimana scorsa. Le autorità israeliane con esercito e forze di polizia hanno fatto irruzione nel villaggio per rilasciare ordini militari che mettono a rischio demolizione tutte le strutture del villaggio e impongono il trasferimento forzato a 130 persone, di cui la metà bambini. Ecco il perché dell’indignazione. Viene tolta ai bambini la possibilità di crescita culturale. Viene negata loro la possibilità di vivere nel proprio villaggio, nonostante ciò costituisca una violazione della Quarta Convenzione di Ginevra.

Il villaggio è stato già in passato protetto dall’ONU grazie ad uno scrupoloso lavoro fatto da rabbi Jeremy Milgrom, rabbino facente parte dell’ONG israeliana dei “Rabbini per i diritti umani”, nel quale descriveva la precisa localizzazione dei beduini nel deserto. La mappa ha impedito a Israele di espandersi e frammentare la Cisgiordania in passato, ma ora, con questi nuovi provvedimenti, il rischio ritorna. Khan al-Ahmar rappresenta l’ostacolo per la realizzazione del collegamento fra Gerusalemme est e una colonia israeliana, il mega insediamento abusivo, perché in territorio palestinese, di Maale Adumim. Le autorità israeliane prevedono di costruire lungo tuta l’area centinaia di case solo per ebrei, dividendo fisicamente la Cisgiordania e allontanando sempre di più il raggiungimento della pace fra i due popoli.

E l’indignazione continua: perché non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia se i diritti dell’uomo vengono calpestati.