Della serie: quando Matteo riesce laddove aveva fallito Silvio, a fare da “sinistra” una riforma del lavoro veramente di “destra”.
Barack detta, Matteo ricopia. Le abilità di trascrizione di un dettato, però, si fanno più ardue se il tema riguarda una legge. Risultato? Il “Jumpstart Our Business Startups Act” negli USA ha sollevato dal baratro della crisi una miriade di imprese di piccola entità mediante l’elargizione di fondi statali. In Italia il Governo Renzi ai lavoratori non solo non regala fondi, ma, con una qualche ripicca capricciosa, favorisce il licenziamento ingiustificato. Un allievo simpatico, insomma.
Si era detto della Tutela Costituzionale del lavoro, sì. Si era anche accennato all’illeceità del licenziamento spinto da semplicistiche bizzarrie dei datori di lavoro, con il conseguente obbligo di reintegro nel caso il Tribunale avesse sancito l’ingiustificata arbitrarietà della dispensa.
La Costituzione è bella, poi ci pensa l’assoluta incapacità dei legislatori (parlamentari) moderni a renderla brutta.
In sostanza, dietro le favolistiche promesse dell’attuale Premier, il Jobs Act (a cui si è dato attuazione con il d.l. 20 marzo 2014 e la l. 10 dicembre 2014 n. 83) stravolge in negativo l’art. 18 dello statuto dei lavoratori: l’obbligo costituzionale di reintegro sopravvive in rari casi. I lavoratori lasciati a casa ingiustificatamente e ingiustamente hanno, ora, ristrettissime possibilità di riassunzione anche qualora vantino una sentenza favorevole del Tribunale.
Dietro i proclami e i reclami di Matteo, c’è tutta la sofferenza delle famiglie disoccupate: i soldi erano già pochi, ma le speranze di un popolo non vanno ammazzate. Poco conta che le nuove regole si applichino esclusivamente ai nuovi assunti, e non già ai contratti in essere. Tanto, drasticamente troppo conta, invece, che i titolari di un’azienda (statale o privata) possano dare sfogo alle loro intemperie licenziando a più non posso.
In tema di licenziamenti economici, infatti, ci si è impegnati per peggiorare la già pessima legge Fornero del 2012: il vincolo di riassunzione per ragioni “meramente economiche”, quasi che il lavoro poco centri con l’economia, è escluso in ogni caso. Che ci si diverta alla “riorganizzazione dei reparti” e al “taglio dei personali”, allora.
In tema di licenziamenti disciplinari, ci si è impegnati maggiormente: in caso di insubordinazione del personale al datore di lavoro, di grave negligenza e di compimento di illeciti, ogni discrezionalità del giudice in materia decisionale è ridotta al minimo storico. Se prima toccava al Tribunale stabilire la liceità o, all’opposto, l’arbitrarietà del licenziamento disciplinare, ora (che si fotta Montesquieu!) la funzione legislativa assorbe in essa quella giurisdizionale e la riassunzione è in gran parte abolita.
Ma, vi starete chiedendo, in democrazia non vige la teoria dei poteri contrapposti? Non c’è una clausola di flessibilità che ponga freno alle stravaganze del legislatore? Certo che sì! La riassunzione è promossa qualora si tratti di licenziamento “manifestamente ingiustificato”, quasi che serva molto al datore di lavoro, con la nuova legge, dimostrarne le giustificazioni.
E l’indennizzo ai licenziati? Si sa, siamo in tempi di crisi: sapranno accontentarsi, per campare avanti, di 2 mesi di stipendio per ogni anno lavorativo fino ad un massimo di 24 mensilità.