Giusto per fare il punto della situazione: Israele è uno Stato delinquente. Intendiamo delinquente nel senso più letterale del termine, esso delinque regolarmente le leggi del diritto internazionale: non ha mai rispettato le risoluzioni Onu che lo dichiarassero in torto, da cinquanta anni viola costantemente i diritti umani (sempre secondo l’Onu), è uno stato colonialista che da decenni prosegue nell’occupazione di quello che dovrebbe essere territorio palestinese. È uno Stato dunque che andrebbe boicottato in qualunque ambito possibile, da quello economico a quello politico e culturale, e invece il mondo occidentale compatto, fatto salvo per qualche sparuta e scialba dichiarazione di facciata, continua da anni in una politica di indifferenza e immobilismo diplomatico. L’Italia non si sottrae a tutto ciò e lo ha dimostrato una volta di più in occasione dell’ultima operazione israeliana su Gaza (“Margine di protezione”, iniziata l’8 luglio) che ad oggi ha prodotto quasi 2000 morti palestinesi. Il premier Renzi ha appoggiato il piano di pace di qualsiasi altra nazione pur di non dover prendere una decisione; il ministro Mogherini ha ripetuto con cadenza settimanale l’autoassolutorio “imperativo fermare il conflitto”; infine l’Italia si è astenuta sul voto in cui si decideva se processare Israele per crimini di guerra o meno, dopo che lo stato ebraico ha bombardato ripetutamente e intenzionalmente scuole dell’Onu e ospedali.

Di solito in questi casi ci si giustifica dicendo che gli equilibri della politica internazionale sono delicati e gli interessi in campo troppo grossi per poter essere messi in discussione da posizioni politiche integerrime, eppure questo è vero in parte. Lo dimostra la storia della politica estera italiana che rispetto al conflitto israelo-palestinese ha visto momenti di grande sensibilità, coraggio e autonomia, messi in campo anche da uomini da cui difficilmente ce lo si sarebbe aspettato. Il rapporto fra l’Italia e gli attori del conflitto è stato un rapporto, per tutta la Prima Repubblica, portato avanti su un doppio piano: da un lato quello istituzionale in cui il nostro Paese, parte dell’Alleanza Atlantica, si è comportato seguendo i dettami dell’Occidente, ossia degli USA, quindi perseguendo una linea filo-israeliana; dall’altro quello ufficioso, fatto di amicizie, contatti diretti, attestazioni di stima e onestà intellettuale, in cui l’Italia è parsa decisamente più filo-araba rispetto alle altre nazioni d’Occidente, finendo per appoggiare la causa palestinese in più di un’occasione.

Qualche indizio sul ruolo di mediatore e di Paese protagonista nel Mediterraneo a cui l’Italia ambiva si ebbe nel 1956, durante la Crisi di Suez, quando l’Egitto provò ad opporsi all’occupazione militare del suo celebre canale da parte di Francia, Inghilterra e Israele, e l’Italia, pur vincolata dall’Alleanza Atlantica, assunse una posizione protettiva nei confronti dell’Egitto non appoggiando l’intervento militare. Lo stesso successe circa dieci anni dopo, quando durante la Guerra dei Sei Giorni l’Egitto interdisse il Canale di Suez alle navi israeliane ed ebbe molta risonanza nel mondo occidentale il silenzio di Moro, allora presidente del consiglio, il quale si astenne da qualunque condanna.

Negli anni successivi Moro non si limitò al silenzio. Subito dopo la guerra dello Yom Kippur (1973), usandola in realtà come pretesto, l’allora presidente pose il problema mai risolto dei territori occupati da Israele nella guerra del 1967, fece dichiarazioni a sostegno dei diritti dei palestinesi e votò favorevolmente circa la partecipazione di Arafat al dibattito sulla Palestina presso le Nazioni Unite. Sono rappresentative a questo proposito le parole che il politico pugliese pronunciò il 23 gennaio 1974 in un discorso rivolto alla Commissione Esteri del Senato quando parlò di “valorizzazione” dei rapporti con gli arabi e di necessità di una “patria” palestinese.

Il fatto che tali posizioni non lasciassero indifferenti i palestinesi lo dimostra l’intricato caso del rapimento Moro quando, come racconta Nemer Hammad, ambasciatore storico dell’OLP in Italia, Arafat in persona si propose di agganciare le BR per provare a liberare il politico. Diversi terroristi italiani in quegli anni si addestravano assieme ai palestinesi nei campi della Valle del Giordano e ciò aveva creato dei legami. Tuttavia l’operazione avrebbe richiesto troppo tempo e si decise per un’altra strada.

Dal decennio successivo le aperture del governo italiano nei confronti della “Palestina” sarebbero state ancora più importanti e pregnanti, e saranno l’oggetto della seconda parte di questo articolo.

Questo articolo che tratta di coraggio italico nei confronti della questione palestinese, non potevamo che dedicarlo alla memoria del fotoreporter italiano Simone Camilli, morto tre giorni fa a Gaza all’età di 35 anni, che del suo coraggio aveva fatto il suo mestiere. “Colui che scrive” diceva Albert Camus, “non sarà mai all’altezza di colui che muore”, oggi sembra vero più che mai.