Ci siamo già soffermati, la scorsa settimana, sull’immobilismo dell’attuale politica italiana nei confronti della questione palestinese. Eppure non è sempre stato così. Durante la Prima Repubblica, nonostante i vincoli del Patto Atlantico di cui l’Italia era parte, il nostro paese provò a tenere una politica conciliante (per quanto possibile) nei confronti degli arabi e della causa palestinese. Abbiamo parlato del periodo fino alla fine degli anni ’70.

Le aperture più importanti nei confronti dei palestinesi si ebbero ad ogni modo nel decennio ’80. Nei primi anni si avviò una raccolta firme, dapprima per una petizione e poi per una mozione parlamentare, con l’intento di arrivare ad un riconoscimento ufficiale dell’OLP. Era la prima volta che un parlamento occidentale avanzava una richiesta simile. Il documento raccolse 450 firmatari fra cui ci furono Zaccagnini in qualità di rappresentante della DC, Berlinguer per il PCI e Craxi per il PSI. A seguito di ciò, Pertini, Presidente della Repubblica in carica, decise di invitare in Italia Arafat che il 15 settembre 1982 tenne un importante discorso al parlamento, ricordato da molti per l’immagine della pistola alla cinta del leader palestinese tenuta per tutta la permanenza all’interno di Montecitorio.

Nel 1983, al Consiglio europeo di Venezia, fu grazie al protagonismo dell’Italia che l’OLP venne inserita quale interlocutore nei negoziati di pace. Ma la vicenda che rappresenta al meglio la vicinanza fra italiani e palestinesi è quella dei funerali di Berlinguer. Il PCI aveva sposato in modo solerte la causa palestinese. Già in una risoluzione del ’75 ad esempio si può leggere del sionismo che è “un’ideologia conservatrice e reazionaria, strumentalmente utilizzata dall’imperialismo e tale da generare spinte aggressive, espansionistiche e discriminatorie”. Così la pensava anche il leader storico del PCI, Berlinguer, ai funerali del quale Arafat non volle assolutamente mancare. A quel tempo il capo dell’OLP era ricercato dalla polizia italiana poiché accusato dell’abbattimento di un aereo militare, giunto in Italia dunque sarebbe stato sicuramente arrestato se non fosse che trovò ospitalità e “nascondiglio” negli appartamenti del presidente del Senato, Francesco Cossiga, che personalmente racconterà in seguito la vicenda. Qualche ora dopo Arafat partecipò ai funerali solenni del defunto.

 Eppure Cossiga era considerato, all’interno della DC, uno dei più fedeli sostenitori della linea “atlantica”, spesso contrapposto ad Andreotti, “l’amico degli arabi”. Nel 1985 Andreotti era ministro degli esteri del governo Craxi e fu proprio assieme a questo che risolse il sequestro dell’”Achille Lauro” gestendo poi la crisi di Sigonella, una plateale prova di forza dell’Italia conclusasi in favore degli arabi. Il 7 ottobre di quell’anno quattro guerriglieri palestinesi presero in ostaggio la nave da crociera “Achille Lauro” con 450 persone a bordo. Dopo frenetiche trattative si giunse alla liberazione degli ostaggi in cambio di un salvacondotto per i terroristi. Due giorni dopo la liberazione tuttavia si scoprì che unica vittima della vicenda era stato un cittadino paralitico ebreo-americano cosa che scatenò le ire di Reagan. Mentre i quattro sabotatori venivano rimpatriati a Tunisi l’aviazione americana decise di dirottare il volo costringendolo ad atterrare a Sigonella (Sicilia). Qui le forze armate americane provarono a prendere in custodia i passeggeri, proposito che si scontrò con quello delle forze armate italiane le quali giustamente vollero far valere la propria sovranità. Si giunse quasi ad uno scontro armato, ma alla fine la spuntò l’Italia, dunque Craxi e Andreotti, che processarono i palestinesi in Italia rimpatriandone in seguito alcuni. Fu lo stesso Andreotti che nel 2002, in piena Seconda Intifada, dichiarerà “’se fossi stato in un campo profughi da 50 anni, con la mia famiglia, i miei figli, non avrei avuto bisogno dell’aiuto di Teheran per trasformarmi in un uomo-bomba”.

Questa la cronologia di qualche sprazzo di coraggio italico, coraggio già di per sé scarso, ma venuto completamente meno con la Seconda Repubblica e l’avvento dell’egemonia berlusconiana quando l’Italia, appiattita completamente su posizioni americane, perse il suo credito verso gli arabi conquistato a fatica in 40 anni. Oggi quasi tutti i palestinesi ricordano le coraggiose parole del Cavaliere quando alla domanda su che impressioni avesse avuto attraversando il Muro nella sua visita ai Territori (2010), rispose “non me ne sono accorto in quanto stavo rimettendo a posto le mie idee”.

Per fortuna in Palestina ricordano anche altri tipi di coraggio, quello inatteso e insperato del “sì” all’Onu sul riconoscimento della statualità, o quello di Vittorio Arrigoni e la gente come lui, per cui ancora si commuovono e non trovano le parole. Infine i palestinesi, quando pensano all’Italia, ricordano una canzone, che non è “Italiano vero” come nel resto del mondo, bensì “Bella ciao”, e ti chiedono di cantarla facendoti il coro nel ritornello, con un “ciao” dalla “c” biascicata. Sanno che è la canzone della resistenza “Bella ciao”, dell’ultima volta in cui gli italiani non sono riusciti a trattenere il coraggio.