Dopo la trasposizione cinematografica nella miniserie firmata Tommy Lee Wallace, arriva nelle sale di tutto il mondo il tanto atteso remake diretto da Andres Muschietti: ancora It!

He, She, It! Tre pronomi che lo scrittore Stephen King ha cercato di coniugare nel corpo di Pennywise, il terrificante clown che sguazza nelle fognature di Derry, tranquilla cittadina del Maine abitata da piccole anime innocenti. Dopo la trasposizione cinematografica nella miniserie firmata Tommy Lee Wallace, arriva nelle sale di tutto il mondo il tanto atteso remake diretto da Andres Muschietti, regista argentino che torna a girare un horror dopo il discreto successo della pellicola spagnola “La madre”.

Lui, Lei, Esso. It è l’indefinibile demone che attira a se i bambini con il sorriso smagliante di chi è incapace di sorridere alla vita se non per turbarla di frustrazione e paura, quella di cui si nutre un pagliaccio onirico e reale al tempo stesso, come tutti gli incubi che tutti noi siamo portati a somatizzare nei più reconditi anfratti delle nostre insicurezze.

Se Tim Curry aveva dato all’inquietante protagonista del romanzo un’immagine a metà tra il sadico e il sarcastico, l’interpretazione dello svedese Bill Skarsgard (figlio d’arte del grande Stellan) è al confine dell’assurdo, la fronte stempiata ostenta i segni di un timore viscerale, stomachevole rappresentazione di pensieri annebbiati dall’odio, traveggole allucinate di un gruppo di ragazzini che prendono coraggio dai disastri familiari contro cui sono costretti, quotidianamente, a confrontarsi.

Disagio che, però, li lega indissolubilmente in un patto di sangue che fa scappare loro la promessa di ritrovarsi ancora lì, tutti insieme, ventisette anni dopo quell’esperienza, nel secondo capitolo di un sequel già annunciato e che, di certo, non tarderà ad arrivare.

It permea nello spettatore come lama nel burro, tangendo ricordi indelebili dei magnifici Anni Ottanta, delle mode dell’epoca, di un’innocenza violata e raccontata attraverso incalzanti dialoghi pregni di simpatica volgarità e sconosciuta sessualità. Seppur tecnicamente validi, gli effetti speciali degenerano, troppo spesso, in un genere splatter che poco ha a che vedere con l’impostazione introspettiva e psicologica dell’opera di King che pare, nonostante tutto, trasmetterci un messaggio di pace e condivisione, un monito ad affrontare le difficoltà di petto restando uniti nella confortante sensazione di profonda fragilità.