Eppure, il vero capolavoro, il materiale umano su cui costruire, c’era e non lo si doveva duplicare o manipolare: era Mia, solo lei.

“Io sono Mia”, vorrebbe raccontare la storia di Domenica Rita Adriana Bertè in arte Mia Martini.Diretto da Riccardo Donna e sceneggiato da Monica Rametta. Prodotto da Luca Barbareschi.
Nel ruolo di Mia Martini, Serena Rossi.

Le polemiche scaturite dal non voler essere citati, gossip di cui si nutre certo popolo,  da parte di Ivano Fossati, compagno di Mia e suo autore, e di Renato Zero, eterno amico, parlano chiaro e mi permettono una metafora: “l’assenza di un dio è un dio anch’essa”.
Temo non ci sia nulla da aggiungere alla biografia, né da spiegare, Mia era stata vittima di diversi uomini mediocri e piccoli che detenevano il potere nella discografia e spettacolo di quegli anni: la bollarono, non avendo il dono dell’intelligenza, come una sfigata. Nessuno la voleva. E ciò che le accadde era frutto di quei tempi pieni di rivoluzioni culturali e civili, soprattutto del potere mediatico italiano bigotto e fascista, delle Commissioni di censura improvvisate a modo di Inquisizione, le stesse che condannarono al rogo film come “Ultimo tango a Parigi” di Bertolucci. Quindi non meravigliamoci di quanto accaduto. Tutte le cose che non si capivano per mancanza di volontà e sensibilità, l’arte come il talento, erano esiliati e allontanati con forza.

Le Brigate Rosse, assassini, approfittarono anche di quel vuoto di conoscenza, sociale, per la loro ascesa criminale e di facciata proletaria-comunista.
Nelle fessure, nelle crepe dello Stato, nell’insicurezza collettiva, i cosiddetti “parassiti” creavano il nido e infestavano il buono e il bello con il solo intento di distruggerlo perché non lo comprendevano e oscurava la pochezza emotiva delle loro vite.

Serena Rossi non interpreta, imita. Non lo fa con dolo, ce la mette tutta, ma probabilmente non ha la maturità artistica necessaria. La voce c’è.

Il film, o come lo definiscono tecnicamente in gergo, è per qualità niente di più di un filmino per matrimoni. La regia è improvvisata, non mostra il dramma e la sceneggiatura non aiuta perché non affronta il dramma, lo riduce ad un appuntamento serale con la lacrima cercata a tutti i costi.

Il vero capolavoro, il materiale umano su cui costruire, c’era e non lo si doveva duplicare o manipolare: era Mia, solo lei.
Il coraggio di chi ha prodotto e ha voluto ricordarla va riconosciuto, ma non sana, non soccorre quanto girato e montato.

La vita toglie e dà, ci ha regalato un essere umano fragile e complicato, dalla voce che sapeva di gioia e disperazione, non lo abbiamo saputo apprezzare come avremmo dovuto: e ce lo ha strappato un giorno triste del 12 maggio 1995. Alzatevi in piedi, ovunque siate, e applaudite Mia. Ha avuto la fortuna di conoscere e cantare le poesie di Bruno Lauzi e Franco Califano. “Almeno tu nell’universo” è un capolavoro, parole di Lauzi e musica di Maurizio Fabrizio. “Minuetto” un altro capolavoro, testo di Califano e musica di Dario Baldan Bembo.