Il viaggio di Seydou
Presentato all’ 80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e premiato con il Leone d’Argento alla regia e con il Premio Marcello Mastroianni all’attore protagonista Seydou Sarr, “Io capitano” è un film di Matteo Garrone, scritto con Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri, un vademecum dall’Africa all’Europa, una traversata, sottotitolata, in lingua wolof, il dispaccio di un’emigrazione che valica il confine della comfort zone per stagliarsi, inevitabilmente, nelle coscienze dello spettatore per non asserragliarsi dietro il muro della vergogna e dell’indifferenza.
Seydou e Moussa sono senegalesi in cerca d’avventura, l’autore pirandelliano qui viene trovato dalla voglia di riscatto, da quel desiderio recondito di andare lontano, via dagli affetti, via da un’adolescenza troppo ovattata persino per il contesto disagiato in cui sono nati e vivono. Partire per tornare, da uomini veri, da guerrieri, a furor di popolo, per amor patriae.
Una fuga, la loro, una madre apprensiva, protettiva, l’angelo custode rimpianto per tutta la pellicola, lungo la strada della speranza, anime in pena, visioni pericolanti sublimate dalla fotografia di Paolo Carnera e dagli effetti speciali di Laurent Creusot, tribolazioni e violenze, soldi da conservare nel deretano per evadere da una povertà accettata e mai scelta, con le maglie taroccate di Juve, Barcellona, Arsenal, Borussia Dortmud e Portogallo, è il sogno che si infrange sulle rive della realtà, la nave che genera bambini e dolore, un capitano, Seydou, improvvisato e provvidenziale, l’Ulisse alla conquista della libertà, la siciliana Itaca, urla catartiche e l’orgogliosa rivendicazione: “Nessuno è morto!”
Difficile non lasciarsi travolgere dalla grande onda emotiva del progetto narrativo di Garrone che, a differenza di altri lavori, in questo caso, sembra affrontare la tematica immigrazione in maniera più corposa e lungimirante, la gloria del sopraggiunto traguardo è per Seydou il fine ultimo della sua mission, un’agognata vittoria che ci rende tutti partecipi dell’hic et nunc, senza preoccuparci di ciò che accadrà dopo.
I paesaggi mistici non distolgono l’attenzione dalla potenza spirituale degli esseri umani, e l’autenticità del viaggio include, naturalmente, possibilità drammatiche di decisioni non criticabili, un plot che avanza lungo un filo logicamente inattaccabile, si maschera la tragedia con sguardi disincantati, sono fiori di loto che restano puri nella loro calamità.
“Io capitano” non ci conduce alla compassione ma ci spinge a comprendere asperità di vite al limite che, spesso, preferiamo ignorare.
quante cose non sapevo… bravo Miky