Matera, dove le parole non servono, solo il silenzio. Dove l’amore per il creato vive nel muto comizio degli sguardi. E il nudo concetto della bellezza incanta, e fa cultura
Perché c’è un segreto, in questo giardino che è stato vergogna e ghetto, e ora è presepe, circo di luci, periferia capitale.
Bisogna andarci nel sasso, miniera di vertigini antiche, per coglierlo questo segreto.
Qui le parole non servono, solo il silenzio.
Qui si recita l’amore per il creato: vive nel muto comizio degli sguardi che si perdono all’infinito. Incanta il nudo concetto della bellezza.
Qui vige un tempo altro, sospeso, quello che entra nell’entroterra delle cose e delle case, balsamo urticante nella piega e nella piaga delle storie.
Qui bisogna salire e scendere, sudare a dovere, salire e scendere ancora, i muraglioni custoditi dalla cattedrale.
Qui c’è la memoria del vicinato: civiltà impastata di giaculatorie, bestemmie e resilienza. Anziane che sciorinano i panni. Promiscuità con le bestie che accarezzi e scanni. Attori nomadi come pastori. Pane e spine, mollica e cardi, scorza e afrori, sostanza e ferule. E tanta fatica, fatica tanta…
Qui la poesia è nella festa dei colori che ti riempie gli occhi e non ti lascia. Nel volo di una gazza ladra. Nel gesto del caciocavallo appeso al fresco a prendere sapore. Nelle mandrie di capperi alle rupi. Nel miracolo dei volti che si guardano. Nella gravina, orchestre di cicale a riempire le estati.
Qui il giorno passa lento: piano, pieno. E la sera… il respiro e il canto dell’universo.
Matera, Meteoron, cielo stellato. Luci che brillano e galleggiano nella notte buia. Labbra che si accoppiano. Pupille che danzano, come il lino delle fate.