Ha fragranza di cielo e profumo di terra l’opera prima poetica della bravissima Mariateresa Bari

“Intraverso, spiragli nell’essere” è l’opera prima dei Mariateresa Bari, pubblicata con NeP Edizioni, come se sulla soglia dell’eterno a piccoli morsi si ricomponessero le sillabe dei giorni, pian piano, per non fare troppo rumore.

Tra sinestesie e omoteleuti i versi si caricano di un suggestivo sentire mentre l’incerto ondeggia, annebbia, abbaglia chi è in cerca di un approdo.

Ma se il tempo avesse gli occhi di un bambino e pulsasse nelle vene, liquido, basterebbe un lieve tratto di cuore a ritinteggiare di bianco la pace, nello sgomento di coloro che restano rannicchiati sul fondo della vita.

È attraverso il silenzio che la poetessa ricompone l’archeologia di uno sguardo attento ad ogni dettaglio dell’essere mendicando un tozzo di luce e un sorriso d’estate che concepisca tutte le acrobazie dei sentimenti.

L’attesa di chi resta comunque, stagnante come negli occhi della luna, prefigura campi di luce nell’acquattarsi di incendi d’ombra e di azzuffanti nubi.

Lontano il mare mormora inquieto e i sassi, nudi, arrestano il fiato nel tumulto della morte.

Come far trapelare un filo di speranza?

Come non affogare nel vuoto?

La poetessa ci ricorda che, spesso, la luce s’impiglia nel vento frantumandosi; eppure la fede è una nenia consolatrice che sorregge ogni flebile suono triturato dallo strazio.

Ascoltiamo il ciarlare dei venti e il gesticolare dell’anima perché, dopo i passi affaticati, giunge l’ora del volo e un appiglio di sole salva le parole dal delirio.

A volte, dopo la notte sdegnosa, il mattino è un coagulo di ricordi che imbarca sospiri, soffici come seta, e vocalizza i cocci di luce di chi tanto si è amato.

Può anche correre il gregge dei pensieri e intrecciare piogge di primavera, tanto gli abbracci sono le capriole di chi osa sognare. È catarsi ogni tentativo di sublimare il dolore, pur se ringhia.

Bisogna darsi tempo, dimenticarsi delle lancette e scrollare le paure di dosso. È il rapimento amoroso di una vita che ama la vita il leggiadro vorticare di brillii che inzuppano di felicità.

L’universo si inchina dinanzi a chi non si arena e tratteggia il domani con gratuità: in ogni spasmo l’essere trionfa e i baci funamboli possono renderci raminghi ma mai sbilenchi.

Il tempo è un fuoco indomito di curiosità tra consonanze e assonanze che scoperchiano cuori ardenti, pronti ad incontrarsi.

E allora noi tutti, giostrai dai sorrisi policromi, azzardiamo promesse e verità per imparare a sgomitolare la solitudine.

Muore dentro chi si macchia di menzogna ma le cicatrici irradiano maturità.

Come in un baule, il cuore è un mare d’inverno che urla con forza le sue certezze nell’irruenza di un’orchestra di profondità.

Ma l’infinito è l’istante che accompagna la favola del per sempre?

È la soglia che ci fa fiorire come una casa?

È il ronzio delle stelle che scompiglia ogni nostro cassetto?

La vita è molto di più di una consolazione bambinesca, è molto di più di un vagone lento tra occhieggianti papaveri e di una strada sterrata sgualcita dall’impazienza.

La grande lezione che si coglie fra queste pagine è che le ginocchia possono anche scorticarsi e gli occhi genuflettersi per placare il pianto ma la rinascita, a perdita d’occhio, è un racconto di bellezza.

Quando il sogno avvampa, si aggancia anche l’aquilone della speranza. Come linfa grezza la primavera dell’esistenza pulsa di attese e spia con stupore i mandorli in fiore schiusi in preghiera.

La poesia non ci renderà mai orfani di memoria: tra brulicanti cambiamenti e celle di cuore la coscienza avrà i colori tonanti del coraggio e della resilienza perché i cieli non siano fradici di interrogativi ma stendano benevolenza.

Qual è il motore universale?

Il cuore.

Nel frattempo restiamo schegge di luce con un’inestinguibile sete di libertà!


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Angela Aniello è nata a Bitonto nel 1973, si è laureata in Lettere classiche e dal 1998 insegna nella scuola secondaria di primo grado. Da tempo si dedica alla scrittura come vocazione dell’anima. Ha pubblicato nel 1997 il racconto “Un figlio diverso” edito da Arti Grafiche Savarese e, nel 2005, ha pubblicato anche una raccolta di poesie dal titolo “Piccoli sussurri” edito da Editrice Internazionale Libro Italiano. Ha vinto il concorso nazionale Don Tonino Bello nel 1997 e nel 2004, ha conquistato il secondo premio a un certamen di poesia latina, Premio Catullo ad Acerra (Na) e nel febbraio del 2006 è arrivata il suo quarto premio al concorso di poesia d’amore Arden Borghi Santucci. Quest’anno (precisamente a giugno 2018) ha vinto il terzo premio di poesia e il primo premio per il racconto “Anche la paura puzza” al Concorso “La Battaglia in versi”.