Sacerdote, ordinario di Filosofia Politica presso la Facoltà di Scienze Sociali della Gregoriana, docente di Etica della Pubblica Amministrazione presso il Dipartimento per le politiche del personale del Ministero dell’Interno

Don Rocco, cosa insegna ai suoi studenti?

Insegno Filosofia politica presso la facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana di Roma (www.rocda.it); insegno anche Etica ella Pubblica Amministrazione presso il Dipartimento per le politiche del personale dell’Amministrazione del Ministero dell’Interno (ex SSAI, Roma); mi occupo delle scuole di politica dell’associazione “Cercasi un fine”.

Che opinione ha della classe politica nazionale?

Dalla mia esperienza traggo la lezione che, in media e generalmente parlando, la classe politica governativa e parlamentare sia nettamente inferiore a quella presente nelle nostre Regioni e Comuni. Il problema è la scarsa maturità umana, etica e le scerse competenze tecniche, più a livello nazionale che locale.

Cos’è e come si costruisce il bene comune?

Il bene comune è purtroppo un’espressione molto usata e a rischio di retorica. Il Vaticano II insegna che nella definizione cattolica di bene comune emergono tre aspetti fondamentali: il rapporto con il progetto personale e comunitario, le condizioni che lo attuano e le responsabilità nel realizzarlo. Il bene comune – afferma la Gaudium et Spes – è “l’insieme delle condizioni della vita sociale, che permettono ai singoli come ai gruppi di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente”. La visione conciliare è nella linea classica in quanto, attraverso il riferimento alla perfezione dei singoli e dei gruppi, lascia intendere che la condizione previa è l’esistenza di un progetto di riferimento che contenga le opzioni fondamentali, gli obiettivi e i mezzi per raggiungere la perfezione.
La definizione conciliare, inoltre, presenta un bene comune concepito in forma dinamica. Parlare di condizioni o di raggiungimento di una perfezione vuol dire inserire le istituzioni in un processo di crescita continua, che deve essere attenta sia al dato teorico fondante, sia alla situazione contingente. La dinamicità ci rimanda direttamente a quanto la tradizione aristotelica evidenziava per la virtù e la sua acquisizione: il bene comune è una virtù e come tale è il modo in cui una società si coltiva, sceglie di essere e continua a scegliere di essere, in una costante evoluzione e verifica del cammino compiuto.

Ma come tendere veramente al bene comune?

Il bene comune non si realizza automaticamente, quando un gruppo è istituito, né fatalmente, per chissà quale coincidenza astrale. Esso si fonda su precise condizioni di vita e richiama particolari responsabilità pubbliche. Riguardo alle condizioni che realizzano il bene comune, esse vanno intese come essenziali e primarie, come cose necessarie, afferma il Vaticano II. Esse sono: il vitto, il vestito, l’abitazione, il diritto a scegliere liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, all’educazione, al lavoro, al buon nome, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso. Come si nota queste tredici cose necessarie sono di ordine e portata diversissima: alcune sono materiali (vitto, vestito, abitazione), altre morali e culturali (educazione, informazione, libertà di coscienza e di culto), altre sono condizioni di vita (famiglia, stato di vita, lavoro, buon nome, rispetto, salvaguardia della vita privata) . Eccetto quelle materiali, tutte sono espresse nella forma di diritto a, quasi ad indicare che l’impegno si deve concretizzare nella creazione e tutela di un vero e proprio istituto giuridico.

Il Popolo non comprende tuttavia, per esempio riguardo l’immigrazione magari votando Lega, che ci sono dei poveretti che scappano per fame e necessità di libertà.

Sull’immigrazione si dicono tante sciocchezze, in genere per manipolare le coscienze e conquistare consenso. L’emergenza è grave. Non è né costituzionale, né cristiano rifiutare. Sentiamo spesso da diversi politici e cittadini, cattolici e non, affermazioni contrarie al bene; mi riferisco a tutte le forme di reati contro le persone e, in particolare, gli ultimi, razzismo, demagogia, dittatura, violenza guerra, distruzione delle politiche sociali, populismo, nazionalismo, individualismo, negazioni degli aiuti umanitari, mafie, corruzione, liberismo sfrenato, strumentalizzazione della religione, distruzione dell’ambiente e via dicendo. Queste forme non solo sono contrarie all’etica evangelica ma, con presupposti diversi, sono anche una negazione della nostra Costituzione.

Si può restituire al cittadino fiducia nelle istituzioni?

Si tratta di un processo culturale e politico, cioè occorre studiare perché i cittadini abbiano perso fiducia e lavorare su questi deficit. Personalmente credo che sia determinante la conoscenza e la valutazione di un’istituzione (compreso il servizio svolto dagli intellettuali) perché si possa iniziare ad avere o confermare la fiducia in essa. Esistono dei veri e propri moltiplicatori di fiducia: prassi, eventi e ruoli che aiutano i membri di una realtà familiare, lavorativa, culturale, religiosa, burocratica, politica ad avere più fiducia nell’istituzione in cui vivono.
Essi mi sembrano essere cinque: 1. L’esemplarità della classe dirigente; 2. la distinzione dei ruoli; 3. le reti sociali; 4. la chiarezza della comunicazione; 5. la certezza della norma e della sanzione collegata. Se lavoriamo su ciò, la fiducia rinascerà.