«Pensare è difficile»
(C.G. Jung)
Aveva una di quelle aspirapolvere moderne con le luci led sulla spazzola e aveva scoperto che era più saggio passarle al buio: in controluce i peli del cane che giacevano sul pavimento si vedevano molto meglio, mentre, appena accendeva la luce, tutto sembrava improvvisamente lindo e pinto, come non era. In sostanza il buio mentiva, la luce pure: ci voleva la penombra.
(Le metafore degli elettrodomestici sono veramente entusiasmanti a volte, non vi pare?)
Dunque, era intenta a rincorrere il pelo perduto e il rumore di fondo aiutava l’assenza del pensiero: era andata via, rifletteva su sua nipote, quella diciassettenne colombiana, che sua cognata aveva adottato dieci anni prima e che diciassettenne sarebbe rimasta solo per due settimane ancora: trascorse quelle, avrebbe conservato l’indole della ragazza piccola ed immatura, aggiungendo la capacità di agire. Niente di più terrificante ed assolutamente, nel contempo, inevitabile.
Non ho voglia di soffermarmi su cosa potesse voler dire tutto questo, perché era un disastro, un lutto, un funerale, in seguito a sedimentazioni di detriti mai spostati nel modo giusto: si stava srotolando un epocale fallimento e lei, la zia, era concentrata su eventi, discorsi, parole. In sostanza stava ripercorrendo passo passo antichi e nuovi botta e risposta realmente accaduti, senza un motivo preciso e senza sapere dove stesse andando a parare.
Di fatto, improvvisamente la torcia di un cellulare alle sue spalle!
«Oh, zì! A casa mia l’aspirapolvere si passa con la luce accesa!».
Lei, la zì, senza scomporsi, come non fosse trasalita, rispose immantinente:
«E a casa tua avete usanze sorpassate e distratte».
Così dicendo le mostrò la ragione del buio, facendole notare la differenza del “pelo vedo non vedo” a seconda della luminosità, il tutto senza soluzione di continuità, come non ci fosse stato un ingresso improvviso ed ex abrupto.
Solo dopo essersi sentita rincuorare da un: «Ah ecco zì, allora non sei tutta scema», disse ancora:
«Terribile! Stavo giusto pensando a te e ti sei materializzata dal niente. Che impressione!».
Finito così il teatrino, la zia rimase sola per la mezz’ora che le restava prima di dover andare al lavoro: ancora distrattamente andò in bagno e si ricordò di aver inviato un messaggio ad un amico la sera prima, dimenticando totalmente di controllare se fosse arrivata risposta. Allora prese il cellulare per controllare ed anche lì, apparizione: il suo amico le aveva risposto la sera prima e le aveva, anche, inviato un fiato in quell’esatto istante.
Fu sorpresa a tal punto da dirlo anche a lui:
«Che caspita! Penso a mia nipote e si materializza, ricordo te e appari. Che succede stamattina? Ho il pensiero fattivo?».
Ne risero, ma lei chiuse con un pensiero incontenibile: quasi quasi si sarebbe messa a pensare alla sua mamma, magari avrebbe funzionato. Però, si sa, le cose posticce non funzionano mai, la mamma non apparve. L’unica cosa che accadde fu che la sua fretta fece cadere un libro dalla scrivania e quello si aprì giusto sulla dedica: “A nonna Ines”.
Sua mamma, Ines era il nome di sua mamma e lei quella dedica non l’aveva mai notata prima di quel momento.
Dunque, preda di un certo scompenso razionale, ma con il cuore pieno di strana consapevolezza, uscì. Non cambiò nulla nella sua vita, salvo aver avuto conferma del fatto che la mente produce realtà e se i pensieri positivi generano realtà positive, quelli negativi generano realtà negative.
Forse era solo questo il gap: deviare la via della mente, aiutando così le giornate. Difficile, difficile mentre dietro l’angolo scoppiava una guerra.
Una guerra vera, con le armi, dopo due anni di pandemia e mentre al mondo si consumavano altre milioni di guerre, in chissà quante altre sconosciute realtà.
Fine.