Un invito a non lasciarsi fagocitare

Settembre ha l’odore di tante cose: quaderni nuovi e matite appena temperate; terra umida, uva tagliata e mosto; desideri e ansie, inizi e ritorni. Ma per me ne ha anche un altro, da sempre: quello forte dell’idrorepellente che mio padre utilizza per impermeabilizzare il pavimento della terrazza, operazione che assicura la corretta protezione dalle piogge.

In alcuni casi l’acqua è violenta e distruttiva, fino all’inimmaginabile, fino alla morte assurda. In molti altri ha un’azione lenta, insistente, costante, da goccia che scava la roccia, che permea fino a scavarsi un canale agevole. Le perdite idrauliche, nei tubi e nei muri, non sono improvvise. Sono in genere figlie di gocce ignorate, di minuscole perdite sottovalutate, che poi diventano dannose. Così, un bel giorno ci si può ritrovare a dover gestire la macchia di umidità nel muro, raccogliere acqua da tubi scoppiati, gettare cose ammuffite. In casa, in cantina, in garage. E quando si è in condominio l’irresponsabilità è amplificata dal fatto che non proprio tutti gli inquilini sono disposti ad aver cura dei propri impianti. Dunque, ci si può ritrovare a subire l’incuria degli altri. E allora bisogna limitare il danno, che non significa tappare alla meglio, ma intervenire drasticamente e sostituire. Perché quando l’acqua permea, spesso non s’immagina fin dove sia arrivata. Si sa solo che non torna indietro.

Permeare: attraversare un corpo diffondendosi in esso, scorrere lasciando il segno, intridere, trasferire qualcosa di sé sulla superficie di passaggio. Dal latino meare, “passare”, che ha dato origine al meato, la stretta apertura che fornisce il passaggio ai fluidi, e al commiato, che è più del saluto, perché lacrime ed emozioni scorrono e segnano. Il meare, tuttavia, ha una sfumatura di significato ben precisa, legata all’apertura o alla rottura che fa scorrere il liquido. Prevenirla significa fare manutenzione. E le perdite non sono solo questioni casalinghe.

In quel chiassoso e variegato condominio che è la vita relazionale di ognuno di noi occorre essere attenti, perché le ferite facilmente diventano vie di fuga per le fuoriuscite più ingestibili. Si parte da insidiosi comportamenti, piccole perdite di educazione, impercettibili guasti nella cura…e si arriva al danno conclamato. E non c’è pezza che tenga! Occorre fare la conta dei danni, provare a ristabilire l’equilibrio, il più delle volte sostituire. Le relazioni sono come gli impianti: non sai mai quanto trascurare le ferite sia pericoloso finché non ti ritrovi ammuffito e allagato dal disagio sottovalutato, ignorato dal “magari mi sbaglio”, “magari non è proprio così”, “meglio che non dica nulla, nel caso si offende”, “ma si, passiamoci sopra, voltiamo pagina”.

Per questo occorre sempre, per precauzione, una buona dose di impermeabilizzante. Non il troppo che causa distanza eccessiva, non il niente che autorizza chiunque a calpestarci: il quanto basta che previene gli effetti di acque e perdite altrui, che non ci è dato gestire, ma nemmeno subire. Impermeabilizzarsi periodicamente significa conservare lo spazio per il ricambio dell’aria e la giusta distanza per osservare, prendersi tempo, cogliere i segnali di pericolo, valutare l’intervento, attrezzarsi, proteggersi. E più sono ferite e rotte le storie, le nostre e quelle di chi incontriamo, più occorre cautela.

Non è un invito ad anestetizzarsi dalle esistenze e dalle sofferenze altrui, ma a non farsi fagocitare da chi non ne vuole sapere di fare manutenzione nel proprio cuore e, così facendo, finisce col permeare quello altrui con il proprio malessere. Essere interconnessi, del resto, ha il suo premio e il suo prezzo. Ma nessuno ha il diritto di riversarsi come un torrente impazzito nella nostra vita.


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